di Chiara Conticello
«Nella nottata che passava tra il primo e il due novembre, ogni casa dove c’era un bambino si popolava di morti a lui familiari. Non fantasmi con il lenzuolo bianco, non quelli che fanno spavento ma tali e quali a quelli che si vedevano nelle fotografie esposte in salotto. Noi prima di andare a dormire, mettevamo sotto il letto un cesto che i morti avrebbero riempito di dolci e regali che avremmo trovato il 2 mattina, al risveglio. I dolci erano quelli rituali, detti “dei morti” come il marzapane modellato e dipinto da sembrare frutta e non mancava mai il “pupo di zucchero” che in genere raffigurava un bersagliere e con la tromba in bocca o una coloratissima ballerina in un passo di danza».
Andrea Camilleri raccontava così “il giorno dei morti”, una delle feste più attese e amate dai piccini siciliani. Una tradizione antica che però, oggi, non c’è più.
Nelle vetrine delle pasticcerie della città è quasi raro trovare i pupi di zucchero perché, come ci hanno risposto in tanti, “non c’è più richiesta”.
E così sarà sempre più difficile trovare quelle statuette di zucchero dipinte con colori vivaci. E sarà difficile trovare un bambino che attende, con ansia e trepidazione, l’arrivo dei morti nella notte tra l’1 e il 2 novembre per ricevere i regali che ha desiderato per tutto l’anno.