Il titolo dell’articolo, a firma di Sandra Amurri e Rino Giacalone, era certamente evocativo di torbidi legami: “Un fiume di denaro per chi trova Denaro”. Fu pubblicato su “Il Fatto Quotidiano” il 5 giugno 2010, diretto all’epoca da Antonio Padellaro, e accostava il nome dell’allora Senatore della Repubblica Antonio d’Alì al latitante mafioso Matteo Messina Denaro. La controversia processuale in sede civile, aperta dal sen. d’Alì, che prese le mosse da quell’articolo, è ormai definita con la condanna dei due giornalisti, del direttore responsabile e dell’editore. La sentenza di condanna della Corte di Appello di Roma è stata pubblicata il 28 luglio 2020. Amurri, Giacalone, Padellaro e Il Fatto Quotidiano dovranno risarcire Antonio d’Alì perché ne hanno leso la reputazione accostandolo inopinatamente al boss mafioso Matteo Messina Denaro e dunque a Cosa Nostra. La sentenza, divenuta irrevocabile a s eguito di transazione economica fra le parti, dimostra – ancora una volta – la infondatezza delle accuse di collusione del sen. d’Alì con boss mafiosi. D’Alì è stato, infatti, già assolto ben due volte dalla accuse circa i suoi presunti legami con Cosa Nostra. Sandra Amurri già il 16 maggio 2008, fu condannata dal Tribunale di Roma a risarcire i danni al senatore Antonio D’Alì per un precedente articolo che scrisse su l’Unità il 27 ottobre 2007. Mentre per l’articolo “Un fiume di denaro per chi trova Denaro” nel giugno del 2012 fu censurata dall’Ordine dei giornalisti delle Marche per aver manipolato il verbale di una intercettazione ambientale di Giovanni Risalvato, considerato dagli investigatori uomo di Matteo Messina Denaro. «Nel caso in esame – scrive l’ordine dei giornalisti delle Marche nella delibera di censura -, non sembra dubitabile che l’intercettazione ambientale delle affermazioni di Giovanni Risalvato, acquisita e trascritta dalla Procura distrettuale antimafia di Palermo, abbia subito nello sua trasposizione giornalistica una pesante e grossolana manipolazione laddove le parole “da lì” sono diventate “D’Alì”; manipolazione che in tutta evidenza non può essere attribuita a “un errore” (come sostiene la Amuni visto che per far quadrare il periodo è reso necessario anche modificare il testo dalla seconda persona singolare (“mI puoI aiutare…”) alla terza (“mi può aiutare”).Si deve peraltro presumere che l’articolista (o gli articolisti, Amurri e Giacalone) avessero a disposizione il verbale di trascrizione della stessa intercettazione, visto che lo stessa Amurri afferma che il suo collega trapanese le aveva “inoltrato lo stralcio del verbale in suo possesso”».