Pamela Giacomarro
Il sogno di Trapani si spegne al PalaLeonessa, ma resta indelebile l’impresa di una squadra che, da neopromossa, ha saputo stupire tutta l’Italia del basket. La Germani Brescia, guidata da Peppe Poeta, con freddezza ed esperienza vince 92-86 e conquista l’accesso alla finale, ma i granata escono tra gli applausi e con l’orgoglio di chi ha compiuto un percorso straordinario. Secondi in regular season al primo anno nella massima serie, protagonisti assoluti di un campionato vissuto sempre al vertice, capaci di affrontare a testa alta piazze storiche e squadre costruite per vincere. Quella di Trapani è stata una favola sportiva fatta di talento, sacrificio e ambizione.
Eppure, nella serie di semifinale contro Brescia, quella squadra brillante e compatta ammirata per mesi è sembrata smarrita. Non si è vista la Trapani feroce, lucida e profonda che aveva incantato nella stagione regolare. Qualcosa si è inceppato: gambe più pesanti, scelte meno lucide, rotazioni meno incisive. Brescia, solida e cinica, ne ha approfittato con intelligenza e determinazione.
L’intera serie è stata lo specchio di questa leggera flessione. In questa Gara3 i ragazzi di coach Jasmin Repeša erano partiti fortissimo, chiudendo il primo quarto avanti 23-30 grazie a un Horton dominante e un Robinson ispirato. Ma la reazione dei padroni di casa non si è fatta attendere: Ndour, Della Valle e Ivanovic hanno ribaltato il punteggio, mandando Brescia al riposo lungo sul 47-42. Trapani ha faticato a rimanere agganciata, a tratti è sembrata scarica, svuotata, incapace di ritrovare quel ritmo alto che l’aveva resa speciale.
Nel terzo quarto è tornato un sussulto d’orgoglio. Rossato dalla panchina ha dato energia, Horton ha continuato a combattere, Alibegovic è stato prezioso su entrambi i lati del campo. Trapani ha ritrovato la testa del match, toccando anche il +2 (69-71), ma nel momento decisivo ha pagato errori pesanti: tre liberi falliti da Dowe, un antisportivo sanguinoso di Galloway, palle perse in momenti chiave. Dall’altra parte, Brescia è stata chirurgica, guidata da un Della Valle decisivo e dalla solidità di Ndour e Burnell.
La gara è finita 92-86, con Brescia in festa e Trapani che lascia il campo a testa alta, ma con il rammarico di non essere riuscita a esprimere appieno il proprio potenziale nella serie più importante. È una sconfitta che fa male, perché la sensazione è che con un po’ più di energia e lucidità, sarebbe stato possibile staccare il pass per la finale.
Ma nulla cancella la grandezza della stagione granata. Da neopromossa, chiudere al secondo posto in regular season è un’impresa che resterà nella storia del basket trapanese e non solo. Horton è stato uno dei lunghi più continui del campionato, Robinson un regista di carisma e qualità. E poi Alibegovic, Notae, Galloway, Yeboah, Petrucelli, Eboua, Brown, Rossato, Gentile, Mollura, l’ultimo arrivato Ogbeide che è apparso solo pichi minuti: ognuno ha dato il suo contributo a un progetto che ha entusiasmato. E su tutto, la guida sicura di coach Repeša, capace di costruire una squadra con un’identità chiara, competitiva e ambiziosa.
Brescia vola in finale con merito, ma Trapani ha lasciato un’impronta profonda in questa stagione. Non per com’è finita, ma per tutto ciò che ha rappresentato. Una squadra giovane, orgogliosa, bella da vedere.
Un capitolo a parte lo meritano i tifosi. Ovunque abbia giocato Trapani, c’è sempre stato un settore colorato di granata pronto a cantare, spingere e sognare insieme alla squadra. “Sono trapanese e me ne vanto” è stato più di un coro: è diventato un grido d’identità, un inno che ha unito una città intera dietro la sua squadra. I palazzetti pieni, l’entusiasmo contagioso e il calore del pubblico hanno fatto la differenza tanto quanto le giocate sul parquet.



















