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Il Teatro che non c’è più ed il futuro di Trapani tra cultura e storia da riscoprire

La mostra "Trapani bombardata" che si sta tenendo in questi giorni a Torre di Ligny, con in esposizione le foto dell'archivio di Michele Fundarò, offre lo spunto per una riflessione sul futuro, in chiave culturale, della città e del suo immenso patrimonio storico.

di Mario Torrente

Perchè parlare del Teatro Garibaldi a quasi ottant’anni dalla sua demolizione dopo i bombardamenti del 1943? Sicuramente perchè dalla storia possiamo leggere con più attenzione il presente e non fare gli stessi errori del passato. Magari provando a costruire un futuro migliore. Ed è proprio questo il nocciolo della questione. Il futuro di Trapani ma con l’occhio rivolto al suo passato.

Questa città bellissima dall’Unità d’Italia in poi è stata letteralmente stravolta. A partire dal 1862 il suo nucleo originario attorno alle mura venne sventrato, con la demolizione delle fortificazioni, dei bastioni e di altre strutture. Furono “fisiologici” cambiamenti di una Trapani che andava crescendo aprendosi all’esterno. I tempi erano quelli, tra correnti artistiche e di pensiero che andavano disegnando la Trapani moderna. Da costruire sul quella vecchia e guadagnando spazio altrove. Trapanio cominciò a cambiare pelle. Poi arrivarono le bombe della seconda guerra mondiale che fecero forti danni, distruggendo mezzo centro storico. Forse anche più. Fu il colpo di grazia per la città antica. Quella medievale era stata già compromessa e sulle macerie (ed i morti) lasciate dalle bombe si iniziarono a tirar su tanti palazzi. E a fare avanzare il cemento verso la campagna, i laghi e le saline.

Qualcosa si salvò, come Palazzo Cavarretta, che venne praticamente ricostruito. Tanti altri simboli di Trapani invece sparirono, come il Teatro Garibaldi, l’originario Real Ferdinando inaugurato nel 1849 sotto i Borboni. Secondo le testimonianze del tempo il teatro era danneggiato ma comunque recuperabile. Si sarebbe potuto salvare ed infatti all’inizio si parlò della ricostruzione delle parti danneggiate. Il che avrebbe permesso a Trapani di mantenere quello che per un secolo fu il polmone culturale della città. Ma le cose andarono diversamente. Nel 1946 il Consiglio comunale decise infatti di vendere l’area del teatro per la costruzione della Banca d’Italia, che originariamente si trovava in via Barone Sieri Pepoli, dove oggi c’è piazza Cuba. Ma durante i bombardamenti del 1943 quel palazzo venne letteralmente raso al suolo e piuttosto che ricostruirlo nello stesso punto si decise di spostare la Banca d’Italia nella attuale piazza Scarlatti.

Il Teatro Garibaldi venne così demolito. E Trapani perse il suo storico teatro, voluto fortemente dai trapanesi del 1800 che si autotassarono per costruirlo. Quelli degli anni Quaranta fecero altre scelte, mentre i trapanesi della seconda metà del ventesimo secolo, assieme ad altre decisioni piuttosto discutibili come la demolizione del Castello di Terra, non riuscirono a dare alla città un nuovo Teatro degno del Real Ferdinando-Garibaldi, che nel frattempo è stato quasi del tutto dimenticato dai trapanesi del 2000 e passa, con il progetto di ricostruzione ormai in soffitta da un pezzo. Per l’esattezza, non c’è proprio nessun progetto. Non se ne parla più. Punto.

Per la verità la vicenda del Teatro venne ripresa qualche anno addietro in occasione della candidatura di Trapani a capitale della cultura come criterio di paragone per sminuire l’idea di fare correre la città questa importate opportunità. Della seria, una città senza teatro non ha dove andare. Altro che capitale della cultura. Ed invece la ultramillenaria storia di Trapani e del suo territorio circostante pulsa di cultura da ogni angolo e avrebbe tutte le carte in regola per essere eletta a Capitale della cultura. Ma per capirne il perché bisognerebbe studiare un po’ e conoscere qualche pagina della storia locale, che non si capisce per quale motivo non viene insegnata nelle scuole, se non qualche cenno una tantum. Eppure è un racconto bellissimo, carico di miti e leggende, di storia e dell’intreccio di tanti popoli che qui si sono incontrati e scontrati. Di intrecci di religioni scolpiti nel rosone di Sant’Agostino. Di re e imperatori. Di eserciti e predicatori. Di artisti e artigiani. La lettura della storia locale permetterebbe di farsi un’idea di cosa è stata Trapani fino a pochi decenni addietro.

Magari facendo riaffiorare un po’ di orgoglio e senso di appartenenza perhè il dna della città, nonostante le demolizioni e le bombe è ancora lo stesso e forse l’antica Camesena, Darban, Drepanon o Tarabinis che sia aspetta solo di rinascere. Un po’ come l’Araba Fenice. E per tornare allo splendore culturale di un tempo, un po’ come quando il giovane tenore Caruso venne ad esibirsi al Teatro Garibaldi, visto che Trapani era una delle piazze più importanti dell’epoca, serve l’aiuto di tutti i trapanesi di buona volontà, quelli che questa città la amano per davvero e che avrebbero la capacità e le competenze per farla risorgere, ripartendo proprio dalla cultura e dai suoi luoghi simbolo. E per farlo serve il contributo sia dei trapanesi con i capelli biachi, sia di quelli ancora senza barba, che magari sarebbe meglio fare restare nella loro città per farla tornare a crescere, piuttosto che vederli andar via per migliorare altri territori. E non casa loro.

Ed in quest’ottica, magari, si potrebbe iniziare a parlare di come fare rientrare i trapanesi che sono stati costretti ad andar via, fermando l’emorragia demografica, e di intelligenze, in corso ormai da decenni. Se non si fermano queste fughe, Trapani non potrà mai rinascere a nuova vita. Anche perchè le cose da fare non mancano. Servono idee. E le possibilità di lavoro vanno ricercate anche nel patrimonio storico, culturale e naturalistico della cuspide della Sicilia occidentale, regno di bellezza, biodiversità, tradizione e racconto.

Piuttosto, prima o poi si dovrà capire come gestire il patrimonio culturale della città, a partire da alcuni monumenti da dove è passata la storia e da dove può ripartire un nuovo futuro, come i Bastioni superstiti, quelli sopravvissuti alle demolizioni scattate, pure con una certa fretta, dopo l’Unità d’Italia: quello Imperiale e dell’Impossibile sono chiusi, con il secondo che, dopo la felice parentesi della Coppa America, attende ancora di essere recuperato da cima a fondo, mentre Bastione Conca, l’unico accessibile, si è ritrovato con i vetri spaccati ed i faretti rotti. Vandalizzato e offeso da ignoti. Ma la lista è lunga è passa da tanti siti, chiese, ex conventi, monumenti, torri e storici palazzi.

Nell’elenco ci sarebbe pure la Colombaia che entro il 2026 dovrebbe essere ristrutturata coi i 27 milioni di euro arrivati dal Pnrr. Ma non si sa ancora per farci cosa. Così come si attende una destinazione anche per l’ex Convento San Domenico con il suo antichissimo e caratteristico campanile ottagonale. Ma nel patrimonio trapanese c’è anche l’ex Principe di Napoli e altri immobili, come la Casina delle Palme e Palazzo Lucatelli, che una volta recuperato potrà finalmente iniziare una nuova vita. Ma ci sono tanti contenitori da riempire (e gestire) e per arricchire l’offerta del territorio si potrebbe anche puntare su un Museo del mare, che incredibilmente manca in una città di navigatori e pescatori come Trapani. Mentre tante barche in legno di vanno perdendo e nei magazzini dei marittimi trapanesi c’è tanto materiale che potrebbe essere esposto per raccontare tante storie ed avventure. Ma a Trapani non c’è nemmeno un Museo di archeologia, a differenza degli altri capoluoghi di provincia siciliani. Ed il materiale non mancherebbe. Tutt’altro.

Ma Trapani è anche la città del vento raccontata dai mulini. Quelli sopravvissuti, anche se privati, fanno parte del paesaggio e assieme alla Riserva delle Saline sono una delle punte di diamante dell’offerta del territorio e della sua storia, che rappresenta anche una narrazione da ascoltare tra le strade del centro storico, tra gli odori della gastronomia passando per tutti i suoi simboli, le leggende ed i tanti racconti che si intrecciano ovunque. Ma che la città sta dimenticando. E la perdita della memoria è il primo passo per la morte di un territorio.

La domanda, a questo punto, è solo una: come si può gestire tutto questo immenso patrimonio storico-culturale, ma anche paesaggistico, racchiuso nell’idea condivida da tutta della bellezza di Trapani, ma con una forte connotazione legata alla tradizione marinara e non solo? Il Comune, in questi tempi, da solo non può farcela. Non ha gli strumenti, le risorse e serve un apposito know how dedicato alle esigenze di promozione e gestione.

Per riuscirci, forse a Trapani andrebbe fatta la stessa operazione messa su ad Erice nel 2006 dall’allora sindaco Ignazio Sanges. Fu lui a gettare le basi della FondazioneEriceArte, quel braccio operativo dell’amministrazione comunale della vetta che gestisce i siti di interesse turistico del borgo medievale, oltre che l’organizzazione di eventi e manifestazioni varie. Un braccio operativo che Giacomo Tranchida, il successore di Ignazio Sanges, a cui va dato atto di averci visto lungo, rese pienamente operativo durante i suoi mandati alla guida del Comune di Erice e che ha permesso di raggiungere importanti obiettivi che sono sotto gli occhi di tutti, a partire dagli eventi organizzati in questi anni, come quelli per il Natale che hanno portato il pienone di presenze ad Erice, tra spettacoli, concerti ed un ricco programma di iniziative.

Perchè allora non inventarsi qualcosa di simile anche a Trapani? Istituendo anche qui una Fondazione con lo scopo di salvaguardare, valorizzare e gestire il grande patrimonio storico-culturale del suo territorio. E che si occupi solo di questo, focalizzando le energie esclusivamente sulla tutela, promozione e gestione della cultura a Trapani. Quella vera, che impone però un minimo di conoscenza e “sapere” trapanese. Una sorta di “FondazioneTrapaniCultura” o qualcosa di simile che si riesca a farla camminare con le proprie gambe e con l’intelligenza e la visione di chi ha il coraggio di guardare oltre la staccionata. Perchè alla fine la forza dei sogni fa volare alto le città. Magari così un giorno Trapani potrà riavere il Teatro Real Ferdinando-Garibaldi, la cui memoria rimane custodita anche nelle foto di archivio in bianco e nero che il buon Michele Fundarò, profondo conoscitore della storia trapanese, ha spiegato in questo servizio andato in onda oggi nel tg di Telesud.

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