Il 2 Aprile è stata celebrata la giornata mondiale per la consapevolezza sull’autismo. È un giorno riconosciuto a livello internazionale per incoraggiare gli Stati membri delle Nazioni Unite ad una maggiore sensibilizzazione rispetto all’autismo. Per l’occasione abbiamo intervistato Francesca Trapani, dottoressa in psicologa – Analista del comportamento – responsabile ABA INSIEME.
- 1- Quali sono le principali sfide che le persone con autismo affrontano nella vita quotidiana e come possiamo come società aiutarle a superarle?
R.: Le persone con autismo si trovano spesso a vivere la quotidianità affrontando sfide che toccano aspetti profondi della comunicazione, della relazione e della gestione del proprio mondo interiore. Per esempio, possono avere difficoltà nel decodificare i segnali sociali impliciti, interpretare le emozioni altrui, adattarsi a cambiamenti improvvisi nella routine o gestire un sovraccarico sensoriale in ambienti rumorosi o caotici. Queste situazioni, che per molti sembrano banali, per chi è nello spettro autistico possono diventare fonte di forte stress.
Ciò che è importante sottolineare è che queste difficoltà non dipendono da una mancanza di capacità, ma da un modo diverso di percepire, elaborare e stare nel mondo. Il vero limite spesso non è l’autismo in sé, ma il contesto che non si adatta o non accoglie queste differenze.
Come società possiamo fare molto per facilitare la vita delle persone autistiche. Dovremmo cominciare a parlare seriamente di neurodiversità e a valorizzare le differenze, piuttosto che cercare di “normalizzarle”. È necessario costruire ambienti inclusivi – dalla scuola al lavoro, passando per i luoghi pubblici – e formare chi lavora in ambito educativo, sanitario e sociale affinché sappia leggere e rispondere ai bisogni di chi è nello spettro. L’inclusione vera nasce dalla comprensione profonda e dal rispetto.
- 2- In che modo la comprensione dell’autismo è cambiata negli ultimi anni, e quali sono ancora gli aspetti da migliorare per garantire una maggiore inclusione?
R.: Negli ultimi anni abbiamo assistito a un cambiamento importante nel modo in cui viene percepito e compreso l’autismo. C’è stata una lenta ma crescente transizione da una visione prettamente clinica e patologizzante, in cui l’autismo era visto come un “problema da correggere”, a una prospettiva più ampia e umana che riconosce l’autismo come una condizione neurodivergente, parte integrante della diversità umana.
Questa nuova consapevolezza ha portato con sé un approccio più rispettoso e centrato sulla persona, che pone al centro il benessere e la qualità della vita, piuttosto che la mera “normalizzazione” dei comportamenti.
Tuttavia, a Trapani come in moltissime altre zone della Sicilia, siamo ancora lontani da una reale inclusione. C’è ancora troppa distanza tra le buone intenzioni e la pratica quotidiana. A livello sociale, permane una forte disinformazione, e molti stereotipi sono duri a morire. L’immagine dell’autismo che spesso circola è ancora legata a rappresentazioni poco realistiche o estreme, che non tengono conto della complessità e varietà dei profili nello spettro, di quelli che oggi chiamiamo appunto “autismi”.
Serve più ascolto – soprattutto delle persone autistiche adulte, che oggi stanno finalmente prendendo voce nel dibattito – e serve più formazione nei contesti chiave: scuole, aziende, servizi pubblici. Non possiamo parlare di inclusione se chi accompagna questi percorsi non è preparato ad accogliere e comprendere davvero. Serve anche una visione del futuro, pensare a quando i bambini diventano giovani adulti e adulti.
- 3- Può parlarci dell’importanza di una diagnosi precoce e quali risorse o strategie potrebbero fare la differenza per le famiglie che ricevono una diagnosi di questo tipo?
R.: Ricevere una diagnosi di autismo per il proprio figlio è un momento delicato, spesso accompagnato da una grande quantità di emozioni: incertezza, paura, ma anche sollievo nel dare un nome a qualcosa che si intuiva ma non si sapeva spiegare. In questo momento, è fondamentale che la famiglia non venga lasciata sola.
La diagnosi precoce è preziosa perché permette di intervenire in una fase dello sviluppo in cui il cervello è più plastico e ricettivo al cambiamento. Questo non significa “curare” l’autismo – che non è una malattia – ma fornire al bambino strumenti utili per esplorare il mondo, comunicare, sviluppare competenze e autonomia. Interventi basati sull’evidenza scientifica, come l’ABA (Analisi del Comportamento Applicata), possono avere un impatto molto positivo, soprattutto se integrati in una visione globale che coinvolge anche la famiglia e guarda anche al mondo interiore dei bambini e ragazzi con autismo.
Per le famiglie, fare la differenza significa offrire sostegno concreto: informazioni chiare, percorsi di orientamento, spazi di ascolto. È fondamentale creare una rete di supporto, anche tra genitori, in cui si possa condividere senza giudizio e trovare strategie utili per affrontare le sfide quotidiane.
Credo che sia questa la vera sfida su questo territorio, Trapani deve costruire reti. Grazie ad Elena Gigante e la sua realtà si stanno piantando piccoli semi anche qui, è un percorso lento, ma non impossibile.
Nella nostra realtà, ABA Insieme, vediamo ogni giorno quanto sia importante accogliere ogni famiglia con empatia, senza preconcetti, aiutandola a vedere non solo le difficoltà, ma anche le potenzialità del proprio bambino. La diagnosi non è un punto d’arrivo, ma un punto di partenza. E ogni percorso, se costruito con cura e rispetto, può essere fonte di crescita, non solo per il bambino, ma per l’intero nucleo familiare.
di Valeria Marrone