Il Tribunale di Catania, con una sentenza alquanto salomonica pubblicata lo scorso 24 aprile, ha rigettato la domanda di accertamento della contraffazione del marchio e di concorrenza sleale nonché il risarcimento danni all’immagine e morali patiti da Pino Maggiore, proprietario dello storico ristorante trapanese Cantina Siciliana, nella causa da lui intentata contro l’azienda vinicola Firriato ed all’inglese Direct Wines società distributrice di un Perricone Sirah con logo e nome del “rinomato chef”. Il collegio presieduto da Mariano Sciacca ha, però, accolto la domanda di accertamento del ristoratore sull’uso abusivo del nome inibendone l’uso. La Sezione Specializzata in Materia d’Impresa sulla contraffazione, invece, ha ritenuto “debole” il marchio del locale e che presentasse scarsi elementi di fantasia con un carattere eminentemente descrittivo dei servizi offerti dal Maggiore; partendo da tale assunto, quindi, i Giudici hanno ritenuto che quanto raffigurato sull’etichetta della bottiglia messa in produzione presentasse “una veste grafica dissimile nei colori, nella forma e nella posizione di tutti gli elementi visivi rispetto al marchio registrato; infatti, la componente denominativa “CANTINA SICILIANA” è inserita all’interno di una pergamena bianca ed è riprodotta con colori e stile proprio e la componente figurativa, raffigurante un piatto siciliano stilizzato, è riprodotta con colori diversi.” Sulla scorta di una valutazione complessiva, quindi, il Tribunale ha ritenuto che alcuna violazione possa ascriversi all’azienda pacecota ed a quella britannica. Una ricostruzione che, oggettivamente, lascia assai perplessi alla semplice vista dell’etichetta e del logo del locale trapanese. Il Presidente Sciacca e di i giudici a latere Marletta e Marino hanno, poi, escluso anche la sussistenza dei presupposti di un’ipotesi di concorrenza sleale in quanto “il vino era destinato alla commercializzazione esclusivamente sui mercati americani e inglesi escludendo la stessa esigenza di mercato;” altrettanto, ha stabilito che Maggiore non ha mai usato il proprio marchio registrato per la classe n.33 della Classificazione di Nizza, cioè bevande alcoliche. Pertanto, limitamente a tale classe, lo ha dichiarato decaduto per non uso rigettando le domande di risarcimento danni a diverso titolo avanzate dall’attore nonché la retroversione degli utili. Il Collegio ha, tuttavia, ritenuto infondata le domande di risarcimento danni avanzate dalla Firriato in comparsa di costituzione, poiché “nulla ha dimostrato circa le conseguenze pregiudizievoli effettivamente subite in termini di denigrazione commerciale.” Circa la violazione del diritto al nome, invece, la domanda è stata accolta perchè durante il processo “è chiaramente emerso che mai alcun accordo sia intercorso fra Maggiore” e le convenute legittimandole ad inserire il nome dello chef nelle etichette stampate dalla Firriato sotto le indicazioni della Direct Wines. I magistrati hanno però, anche in questo caso, rigettato la domanda del risarcimento dei danni perchè “non è stato possibile raggiungere la prova del danno effettivamente subìto in quanto, pur avendo Maggiore allegato alcune recensioni negative sul vino commercializzato, tale documentazioni, rilevanti ai fini della inibitoria, non si reputano sufficienti per affermare la sussistenza di un effettivo e reale danno a carico dello chef, atteso che, in ogni caso, si è trattato di una commercializzazione avvenuta al di fuori del territorio nazionale.”
Firriato-Maggiore: nessun danno reciproco
Così il Tribunale di Catania si è espresso sulla vicenda fra lo chef e l'azienda vinicola.