È continuata con la testimonianza del maggiore dei Carabinieri Vito Cito, uno degli investigatori del Roni dell’Arma di Trapani, mente storica ma anche testimone attendibile delle dinamiche odierne di Cosa nostra trapanese la terza udienza del processo “Scialandro” davanti al Tribunale di Trapani, presidente giudice Daniela Troja.
Gli imputati sono Pietro Armando Bonanno, Tano Gigante, Mario Mazzara, Francesco Lipari, Giuseppe Maranzano, Francesco Todaro, Mariano Minore e Giuseppe Zichichi.
Le responsabilità contestate agli otto imputati sono state ancora una volta minuziosamente descritte dal maggiore Cito che ha avuto modo di descrivere nel dettaglio l’inchiesta nel suo insieme non tralasciando neppure la parte che riguardava le numerose intercettazioni, continuando di fatto il racconto interrotto la scorsa udienza.
L’inchiesta Scialandro coordinata dalla Procura antimafia di Palermo fu condotta assieme da Carabinieri, Dia, Squadra Mobile, che furono capaci con il loro acume investigativo di accendere i riflettori, su una parte del territorio, da Custonaci a Trapani, da Dattilo a Marsala. Altri indagati, dieci in tutto, sono stati già giudicati e condannati a complessivi 70 anni di carcere, col rito abbreviato, tra loro Giuseppe Costa, condannato per l’indagine Scialandro a 4 anni e 10 mesi.
Questi da semplice uomo della manovalanza mafiosa, a lui fu affidata per un periodo la gestione del sequestro del piccolo Giuseppe Di Matteo (figlio del pentito Santino, strangolato e sciolto nell’acido, per vendetta contro il padre) tenuto anche sequestrato a Purgatorio frazione di Custonaci, scontata la pena per questo fatto, libero si è ritrovato ai vertici della famiglia mafiosa del suo paese, grazie anche alla parentela intanto stretta con il killer di Cosa nostra Vito Mazzara.