Si è aperta il 31 ottobre al Museo diocesano di arte contemporanea “San Rocco” di Trapani la mostra del pittore misilese Stefano Gianquinto, artista solitario, che ha realizzato pochissime mostre nella sua vita e che non espone a Trapani da più di vent’anni.
La mostra di Stefano Gianquinto presenta tanti motivi di curiosità e attrazione, come il rapporto di questa mostra al tema delicatissimo della malattia.
«Da sempre – dice il curatore della mostra, don Liborio Palmeri – il rapporto tra malattia ed arte ha rappresentato un confine difficile da raccontare. In tanti casi l’arte ha messo in scena la malattia mentale, rendendola, per così dire, meno ripugnante, meno terrificante, se non addirittura affascinante. Chi, dinanzi alle opere di Vincent Van Gogh, non avverte il fascino di quell’uomo fragile, capace di schiacciare col suo pennello i fantasmi della sua sofferenza psichica? Chi, nello stesso tempo, non avverte l’angoscia che la sua arte inesorabilmente registra fino a far presagire il tragico epilogo della sua vita? O chi dinanzi alle ballerine di Toulouse-Lautrec non pensa al suo corpo rachitico e malato? O chi dinanzi a un qualunque quadro di Munch non sente l’angoscia del suo famoso “urlo”? Ma la malattia può essere anche altro, può addirittura diventare un nutrimento gentile e consapevole dell’arte, capace di fare dell’attività espressiva di un vero artista non soltanto una manifestazione della sua sofferenza, ma anche di un superamento di essa e della sua sublimazione. È questo il caso di Stefano Gianquinto».
«A nove anni – infatti – scrive Cristina Martinico in un testo che racconta la vita dell’artista e la storia del suo lungo percorso – Stefano ha sviluppato il diabete infantile, malattia che lo accompagna da tutta la vita e con la quale ha imparato a convivere».
La malattia ha rappresentato dunque per questo artista l’apertura verso mondi diversi dal suo, costringendolo a viaggiare per curarsi, ma nello stesso tempo permettendogli di confrontarsi, vista la sua già spontanea curiosità verso l’arte, con i grandi artisti presenti nei musei, ma non solo.
Se i viaggi per la malattia hanno aperto a Stefano Gianquinto orizzonti di confronto, la malattia stessa lo ha invece chiuso nella sua piccola Locogrande, nella sua casa, immerso nella campagna e nel silenzio, guadagnandogli la fama di persona schiva e introversa.
Da qui ha guardato fuori, all’esterno, cominciando a dipingere, con paziente inquietudine, la proiezione della sua bizzosa glicemia. Ne è scaturita una pittura di paesaggi dalle visioni prospettiche improbabili, soggettive, sghembe, dove l’odore di bruciato dei campi arati sembra uscire dalle tele, quando il fuoco stesso non ne diventa protagonista.
Una pittura intima, ma disarmante; una litania di pennellate, in cui il nero ha una funzione rivelatrice dell’anima e, nello stesso tempo, catartica. Lavori immersi nel silenzio. Per questo si è voluto dare alla mostra questo titolo.
Il silenzio da cui nascono le tele è lo stesso a cui è invitato chi guarda i lavori di Stefano Gianquinto. Il silenzio guarisce: non il corpo, ma l’anima. Nascoste nei neri di Stefano a volte si intravvedono piccolissime croci, segni di sofferenza, ma anche di redenzione.
Ma Stefano Gianquinto sa anche dipingere colline impossibili, salite verso il cielo e la luce, in cieli puri, limpidi, come la sua pittura, come la speranza mai perduta della sua travagliata vita.
La mostra, che sarà aperta dal giovedì alla domenica dalle 18 alle 20, si trova al piano terra, nella sala espositiva “degli archi e delle colonne”, del museo San Rocco. L’ingresso è libero.