Crisi climatica e riscaldamento globale

Il focus di "Sicilia sotto la lente" dedicato al climate change ed alle conseguenze nei territori di tutto il mondo.

di Mario Torrente

Crisi climatica, surriscaldamento globale e riduzione dei gas serra. La fotografia del pianeta Terra nel 21esimo secolo è ormai caratterizzata da questi temi che rimandano, puntualmente, a fenomeni climatici sempre più estremi, frequenti e devastanti. L’ultimo la scorsa settimana a Valencia, dove gli allagamenti e le inondazioni hanno causato centinaia di morti e dispersi. Il sud della Spagna è stato flagellato in poche ore da un quantità di pioggia paragonabile a quella che mediamente si registra nell’arco di una anno.

Giorni prima il maltempo aveva riguardato invece la Sicilia: nell’isola si è passata dall’emergenza siccità per le poche piogge, con annesso rischio incendi, all’allerta meteo per i temporali in arrivo, che puntualmente hanno fatto danno: i dati del Servizio informativo agrometeorologico siciliano hanno subito reso l’idea dell’intensità e dell’abbondanza delle piogge concentrate in poche ore. A Fiumedinisi, nel Messinese, l’intensità oraria massima della pioggia è arrivata a 71,8 millimetri l’ora, cumulando in dodici 12 ore ben 151 millimetri di acqua. Sempre in base ai dati del Sias, la stazione di Riesi, nel bacino del Fiume Imera Meridionale, ha registrato un accumulo di 150 millimetri tra venerdì 18 e sabato 19 ottobre.

Numeri che dovrebbe portare a riflettere seriamente sulla crisi climatica e sulla fragilità dei nostri territori, con le cronache regionali che continuano a registrare sempre più episodi legati a super piogge che mandano in territorio sott’acqua. In Sicilia così come avviene in altre parti del paese e del mondo. La mappa degli eventi meteo estremi si va allargando sempre più.

E non ci sono solo i danni nelle città. Anche la natura sta risentendo di questo nuovo quadro climatico: alcuni uccelli migratori, per esempio, stanno cambiando periodi di arrivo e di partenza anno dopo anno. Ci sono fioriture anticipate e specie montane che si spingono, finché possono, in alta quota. In tutto ciò si susseguono i record per le temperature più alte mai registrate in una escalation che in questi anni ha segnato picchi consecutivi

La crisi climatica è ormai un dato di fatto e per la comunità scientifica le cause di questi mutamenti sono da cercare nelle attività umane, in particolare a causa dell’aumento dei gas serra immessi nell’atmosfera, ormai con una concentrazione che ha raggiunto livelli record: l’anidride carbonica è aumentata di quasi il 150 per cento rispetto ai livelli preindustriali, il metano del 262 per cento e il protossido di azoto del 123 per cento rispetto ai livelli preindustriali. Secondo gli esperti quest’ultimo gas ha un potere climalterante 273 volte più alto di quello della CO2 nell’arco di 100 anni. La sua concentrazione in atmosfera è arrivata a quasi 337 parti per miliardo nel 2023, il 125 in più in più rispetto ai livelli preindustriali del 1700.

La principale causa della crisi climatica è dunque l’aumento dei gas serra, prodotti principalmente dalla combustione di combustibili fossili, che intrappolano il calore nell’atmosfera, generando un riscaldamento progressivo del pianeta. Ma in questo scenario globale incidono anche altri fattori, come la deforestazione: le piante e gli alberi, mediante il processo di fotosintesi clorofilliana, trasformano infatti l’anidride carbonica presente nell’atmosfera in ossigeno. Ne consegue che il disboscamento determina un aumento di CO2 e di conseguenza un acuirsi dell’effetto serra e del riscaldamento globale. 

Gli alberi aiutano quindi a regolare il clima assorbendo anidride carbonica. Abbattendoli o bruciandoli quest’azione fondamentale negli equilibri del pianeta viene a mancare. I boschi sono dunque fondamentali per il contrasto dei cambiamenti climatici, ma non solo. Ci sono anche gli aspetti che riguardano il dissesto idrogeologico e la perdita di biodiversità visto che deforestazione porta all’estinzione di numerose specie animali e vegetali, causando squilibri negli ecosistemi.

Ma proviamo a capire meglio gli aspetti legati al “climate change”, variazioni che possono avvenire in maniera naturale ma che, secondo da quanto sostenuto da molti scienziati e da istituzioni internazionali come l’Onu, sono riconducibili alle attività umane ovvero alla combustione di combustibili fossili, come il carbone, il petrolio e il gas, che produce gas che trattengono il calore. Portando quindi al riscaldamento globale.

LE CONSEGUENZE DELLA CRISI CLIMATICA

Il “climate change” è un problema, dunque, che riguarda tutto il mondo, ma con diverse modalità, che vanno dalla siccità alle inondazioni ma sempre col filo conduttore dell’aumento della temperature del pianeta. In natura, del resto, tutto è collegato: così lo scioglimento delle calotte polari porta all’innalzamento dei livello del mare. Si va poi dalla troppa acqua all’acqua che manca. Così, mentre in alcune regioni le precipitazioni e i fenomeni meteorologici estremi sono sempre più diffusi, con nubifragi, temporali ed allagamenti, altre località sono colpite da siccità e ondate di calore senza precedenti. Da un opposto all’altro. E spesso senza nemmeno chissà quali distanze.

Intanto le temperature continuano a salire con livelli di concentrazione di CO2 sempre più alta: secondo l’organizzazione meteorologica mondiale, nel 2023 la concentrazione di Co2 nell’atmosfera è arrivata nel 2023 al livello record di 420 parti per milione, il 151% dei livelli pre-industriali. Nel 2022 l’anidride carbonica era a 417,9 ppm, nel 2021 a 415,7 ppm. E tra le conseguenze ci sono anche quelli che riguardano il dissesto idrogeologico, la diffusione di malattie, la crisi dei sistemi agricoli, l’estinzione di specie animali e vegetali. Ed i contraccolpi, come ovvio, sono pesanti anche sul sistema economico.

Dunque i livelli di CO2 sono sempre in crescita. Le elevate emissioni cause sono riconducibili alle attività umane. Ma in questo disequilibrio entra in partita anche la deforestazione ed i vasti incendi che riducono la capacità di assorbimento da parte delle foreste. Secondo gli esperti sul cambiamento climatico, le attività umane hanno aumentato la temperatura media globale di circa 1,1°C rispetto all’era preindustriale. E questo riscaldamento starebbe comportando l’intensificazione di fenomeni meteorologici estremi come uragani, siccità, ondate di calore e precipitazioni intense, che stanno avendo impatti devastanti sugli ecosistemi e sulle popolazioni.

La crisi climatica ha ripercussioni su scala globale, ma alcuni territori sono colpiti in modo particolarmente drammatico. Fra le conseguenze principali, come s’è detto, c’è anche l’innalzamento del livello del mare. Lo scioglimento dei ghiacciai e l’espansione dell’acqua marina causata dal riscaldamento stanno facendo aumentare il livello del mare, mettendo a rischio le aree costiere. Secondo il World Economic Forum, entro il 2050, circa 800 milioni di persone potrebbero essere esposte al rischio di inondazioni nelle aree costiere.

Ci sono poi gli eventi meteorologici estremi, fenomeni in aumento in termini di frequenza e intensità. Ad esempio, le precipitazioni estreme possono provocare alluvioni in grado di sommergere intere città e territori. In alcune zone d’Italia, come successo di recente in Sicilia, si registrano grandi quantità di pioggia in poche ore che causano gravi danni alle infrastrutture.

Ma si passa dalle piogge torrenziali alla siccità che sta diventando un problema cronico in molte regioni del mondo, soprattutto nei paesi del Sud, ma anche in aree mediterranee come la Sicilia. Qui si alternano fasi di siccità estrema, che mettono a dura prova l’agricoltura e le riserve idriche, a improvvise alluvioni che trovano il terreno arido incapace di assorbire l’acqua, portando ai consequenziali allagamenti ma anche a smottamenti e frane. Questa alternanza di siccità e piogge intense è particolarmente dannosa per l’economia agricola e aumenta il rischio di erosione e desertificazione.

I rischi dei cambiamenti climatici riguardano anche salute umana a causa delle ondate di calore, incendi, inquinamento atmosferico e diffusione di malattie tropicali anche in aree in precedenza non colpite. L’Organizzazione Mondiale della Sanità stima che entro il 2030-2050, il cambiamento climatico potrebbe causare 250.000 morti in più all’anno. Ma c’è anche il rischio di incidenti e impatti sul benessere generale derivanti da eventi meteorologici estremi, come inondazioni, incendi e tempeste.

L’EUROPA E GLI SCENARI INTERNAZIONALI

Si sta cercando di correre ai ripari per fronteggiare gli effetti dei cambiamenti climatici che secondo gli esperti stanno portando all’aumento della frequenza e della gravità di eventi meteo estremi, come alluvioni, violente tempeste ma anche ondate di calore e periodi di siccità. E non si ragiona più per ipotesi di scenari futuri, ma come episodi che ormai riguardano il presente. E sempre più spesso bisogna fare i conti con le conseguenze che mettono a dura prova territori e strutture che appaiono impreparati e vulnerabili. Che fare dunque?

L’Unione Europea ha già lanciato una strategia che passa per il Green deal europeo, lanciato nel 2019, che mira a rendere l’Europa il primo continente a emissioni zero entro il 2050. Si tratta di un pacchetto di iniziative che punta ad avviare l’UE sulla strada di una transizione verde, con l’obiettivo ultimo di raggiungere la neutralità climatica, ovvero un bilanciamento tra la quantità di emissioni di gas serra prodotte e quelle assorbite dall’atmosfera, anche grazie, ad esempio, alla crescita delle foreste o a specifiche soluzioni tecnologiche.

I pilastri di questa strategia comprendono, innanzitutto, la riduzione delle emissioni di gas serra, con l’obiettivo di riuscire a ridurle del 55 per cento entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990. L’accordo di Parigi, firmato da 194 paesi e dall’Unione europea, punta a limitare il riscaldamento globale al di sotto di 2°C e a proseguire gli sforzi per circoscriverlo a 1,5°C al fine di evitare le conseguenze catastrofiche del cambiamento climatico sull’intero pianeta. E la strategia passa anche dall’incremento delle energie rinnovabili: l’Unione Europea prevede di aumentare significativamente la quota di energie rinnovabili, ovvero eolico, solare, idroelettrico, nella sua rete energetica.

Ma c’è anche il Piano europeo di adattamento ai cambiamenti climatici, che mira a rendere infrastrutture e città resilienti agli eventi climatici estremi, con fondi destinati a progetti di tutela ambientale e infrastrutturale. Tra l’altro, sempre a livello comunitario, è stato fissato un obiettivo di spesa pari ad almeno il 30 per cento a favore dell’azione per il clima. Altro aspetto è quello dell’economia circolare che punta a promuovere la riduzione degli sprechi e il riciclaggio dei materiali per ridurre le emissioni legate alla produzione industriale. Tra i fondi più importanti, il Next Generation EU ha stanziato oltre 750 miliardi di euro per sostenere la ripresa economica post-Covid, con una parte significativa di questi destinati alla transizione verde e digitale. Per l’Italia, ad esempio, sono stati assegnati oltre 200 miliardi di euro, di cui una parte cospicua destinata a progetti legati all’ambiente e alla sostenibilità.

Uno dei nodi cruciali è poi quello relativo alla difesa del territorio che chiama in causa il rischio idrogeologico. L’Italia è particolarmente esposta al dissesto idrogeologico. Le recenti emergenze hanno messo in luce la necessità di interventi rapidi e strutturali. Secondo l’Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, quasi il 94 per cento dei comuni italiani è a rischio idrogeologico, segnando un aumento della superficie nazionale potenzialmente soggetta a frane, alluvioni e smottamenti. Un territorio, dunque, vulnerabile ed esposto alle conseguenza dei fenomeni climatici sempre più violenti.

Da qui la necessità di stanziare somme destinate a interventi di difesa del suolo, in particolare nelle regioni più esposte e nel Piano nazionale di ripresa e resilienza sono state previste delle somme per sostenere progetti di prevenzione del dissesto e per la transizione ecologica, con investimenti del Pnrr su opere di difesa e riqualificazione ambientale.
Per quel che riguarda le conseguenze della crisi climatica, la Sicilia è una delle regioni italiane più colpite da siccità e dissesto idrogeologico. Nell’isola servono interventi mirati per migliorare la gestione delle risorse idriche e la messa in sicurezza del territorio. Aspetti che riguardano la rete idrica, caratterizzata da forti perdite lungo le condotte ed il recupero dei quantitativi di acqua necessari per fronteggiare i lunghi periodo di siccità. Ma ci sono anche le aree soggette a frane ed a rischio di smottamenti.

Oltre all’UE, anche altri paesi stanno adottando misure significative. Negli Stati Uniti, il Inflation Reduction Act, una legge federale che affronta una serie di importanti sfide economiche e ambientali, tra cui anche la lotta ai cambiamenti climatici, ha destinato oltre 370 miliardi di dollari per investimenti in tecnologie verdi e la riduzione delle e emissioni di gas serra del 40 per cento entro il 2030.

C’è poi la Cina, pur essendo il primo produttore mondiale di CO2, sta investendo massicciamente nelle energie rinnovabili e ha recentemente annunciato l’intenzione di raggiungere il picco delle emissioni entro il 2030 e la neutralità climatica entro il 2060.
Nel quadro internazionale ci sono poi le Cop, le Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici.

Quella del 2023, conosciuta come Cop 28, si è tenuta a Dubai, sotto la presidenza degli Emirati Arabi Uniti e con la partecipazione di 200 paesi, che ha portato all’accordo sull’eliminazione graduale dei combustibili fossili, riconoscendo la necessità di una transizione alle energie green e sostenibili. La prossima a Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, la Cop 29, si terrà a Baku, in Azerbaigian, dall’11 al 22 novembre 2024, quindi tra pochi giorni. Questo vertice sarà incentrato su aspetti finanziari legati al contributo economico che i paesi più industrializzati dovranno mettere a disposizione per la lotta al cambiamento climatico.

LA CRISI CLIMATICA IN SICILIA

La crisi climatica in Sicilia ha il volto dell’emergenza siccità che da mesi attanaglia l’isola a causa della mancanza di piogge. Una partita dove però, oltre agli aspetti climatici legati alle penuria di piogge, entrano in gioco anche decenni di ritardi nella manutenzione delle infrastrutture e nella pianificazione strategica.

Per fronteggiare l’emergenza dal governo nazionale sono arrivati 20 milioni di euro, stanziamento approvato dal Consiglio dei ministri lo scorso maggio. A queste somme si sono aggiunti i 39 milioni del bilancio regionale mentre altri 40 sono stati previsti nel ddl delle variazioni di bilancio approvato dalla giunta regionale e trasmesso all’Ars. E’ stato anche nominato un commissario nazionale per l’emergenza idrica ed anche per il dissesto idrogeologico è in gestione commissariale.

E gli aspetti legati al territorio rivestono un’importanza crescente visto che sempre più spesso bisogna fare i conti con allagamenti, frane e smottamenti provocati dalle abbondanti piogge. Le città e infrastrutture come strade e altre opere sono sempre più impreparate e fronteggiare un maltempo spesso caratterizzato da eventi meteo piuttosto violenti e a volte anche imprevedibili, che fanno emergere tutta la fragilità dei contesti urbani.

Argomenti che chiamano in causa la pianificazione dei territorio in chiave ambientale e la necessità di puntare sull’azzeramento del consumo del suolo, tema che è stato di recente al centro del confronto all’Ars, l’Assemblea regionale siciliana, durante l’approvazione del ddl urbanistica. Per l’onorevole Cristina Ciminnisi, componente commissione ambiente Ars, la politica regionale deve prendere coscienza della crisi climatica.

I BOSCHI CONTRO IL RISCALDAMENTO GLOBALE

I boschi, oltre a dare aria buona e ospitare biodiversità, assorbono anidride carbonica e rilasciano ossigeno, contrastando così la crisi climatica. Gli alberi rappresentano quasi delle vere e proprie “opere” di ingegneria ideate da Madre Natura con tante funzioni. Motivo per cui ci vorrebbero molti e sempre più boschi per difendere i territori. Invece da decenni il patrimonio naturalistico continua a bruciare, piuttosto che essere salvaguardato con piani di riforestazione per fronteggiare il riscaldamento globale. Le sfide del futuro passano sicuramente da una rigenerazione urbana in chiave green, dalla qualità dell’aria, dalla tutela del suolo e dalla mobilità sostenibile.

Gli alberi frenano l’avanzata dell’inquinamento, visto che per certi aspetti si nutrono di “smog”, assorbendo anidride carbonica e rilasciando ossigeno. Mediamente un singolo albero assorbe tra i 10 ed i 30 chili di CO2 all’anno. Naturalmente nella capacità di catturare quanta più anidride carbonica influisce la specie, l’età, le dimensioni. L’ulivo, ad esempio, è una delle piante da frutto con il maggior potenziale di assorbimento di CO2, arrivando ad incamerarne circa 425 chili in 20 anni. Ma ci sono alberi che superano i 100 chili di anidride carbonica all’anno.

Sono eccezionali purificatori dell’aria che mitigano il fenomeno delle isole di calore urbano. Nelle zone maggiormente cementificate, e con meno alberi, fa più caldo rispetto a quelle con più verde e con il suolo libero da asfalto e infrastrutture. E questo non solo per l’ombra sotto le chiome, che fa scendere la temperatura già di diversi gradi nell’area a riparo dai raggi solari.

C’è infatti anche il processo di evapotraspirazione, il corrispettivo arboreo della sudorazione umana: praticamente per raffreddarsi anche le piante espellono acqua, che una volta evaporata contribuisce a ridurre la temperatura dell’area circostante. Come ovvio, più alberi ci sono, più la temperatura potrà scendere. Ecco perchè è fondamentale puntare sulla forestazione urbana e sulla difesa degli alberi.

Secondo uno studio condotto in Usa, con una copertura arborea del 40 per cento nei quartieri e nelle strade di un centro urbano le temperature possono diminuire anche di 10 gradi. Insomma, le aree verdi in una città potrebbero fare da climatizzatori, dando frescura non a locali interni ad un edificio, ma ad interi contesti urbani fronteggiando così le ondate di calore. Per non dire che i boschi rappresentano delle vasche di assorbimento del carbonio.

Gli alberi e le foreste sono dunque indispensabili per proteggere il clima, perché immagazzinano carbonio in quantità considerevoli, il che aiuta a mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici, svolgendo quindi un ruolo fondamentale nella lotta contro l’aumento delle emissioni di gas serra. E quando gli alberi vanno a fuoco o vengono tagliati, il carbonio che è stato immagazzinato nelle piante viene rilasciato nell’atmosfera sotto forma di anidride carbonica, contribuendo così all’aumento delle emissioni di gas serra.

L’abbattimento di una foresta o di un bosco con molti anni di età rilascia quindi nell’atmosfera tutto carbonio accumulato nei decenni nella sua esistenza. A maggior ragione in caso di alberi secolari. I patrimoni naturalistici sono da proteggere davvero con i denti anche per contrastare il riscaldamento globale e aiutare il pianeta a ritrovare i suoi equilibri climatici. Ma nonostante i tanti benefici assicurati, di alberi ce ne sono sempre meno. I boschi continuano a bruciare, non se ne piantano di nuovi e nelle città il verde urbano continua ad essere poco.

A Palermo, per esempio, in base al rapporto Ecosistema urbano 2023 di Legambiente, si contano 12 alberi ogni cento abitanti, quando invece a Modena, per esempio, sono 117, 54 a Reggio Emilia, 40 a Torino, 37 a Milano. La media nazionale è di 24 alberi ogni 100 abitanti ma Trapani è molto al di sotto di questi parametri, con 6 alberi ogni 100 abitanti in area pubblica in base al rapporto di Legambiente Ecosistema urbano per il 2023, dove emerge una media di 7,2 metri quadrati per cittadino di verde urbano. Tutti parametri che poi finiscono con l’incidere sulle statistiche sulla qualità della vita dei capoluoghi di provincia italiani. Per fare un paragone con altri capoluoghi di provincia per a Trento il valore del verde urbano svetta a 402 metri quadrati ad abitante, a 347 a Rieti, 304 a Sondrio e 227 a Bolzano, con la media nazionale pro capite poco sopra i 50 metri quadrati.

I numeri del green in Sicilia sono insomma bassissimi, quando invece ci vorrebbero quanti più alberi possibili, con chiome verdi per contrastare l’effetto serra assorbendo anidride carbonica e dando ossigeno, frescura e facendo scendere le temperature di diversi gradi, mitigando quindi anche il gran caldo e le sempre più frequenti ondate di calore. Ma c’è dell’altro. Gli alberi sono infatti ottimi strumenti per contrastare il rischio idrogeologico in caso di piogge abbondanti ed eventi meteo particolarmente violenti.

Le radici infatti trattengono il terreno, riducendo così il pericolo di frane e smottamenti, mettendo in questo modo in sicurezza le zone sottostanti, un po’ come fatto alla fine degli anni Settanta ed Ottanta a Martogna, dopo le alluvioni nel sottostante centro urbano di Trapani nel costone ovest della montagna di Erice vennero impiantati tanti alberi. Oltre alle radici che ancorano il terreno, anche la vegetazione del sottobosco svolge una funzione basilare, riuscendo a rallentare e per certi versi a trattenere il ruscellamento delle acque piovane mentre le chiome fanno un po’ da ombrello al suolo, difendendolo dall’azione erosiva dell’acqua. Con tutto ciò che ne consegue.

E quaranta e passa anni fa, tra le azioni che si misero in campo per proteggere i centri urbani di Casa Santa Erice e Trapani venne impiantato il bosco di Martogna, in un progetto in cui venne coinvolto anche il Centro Ettore Majorana. Ma l’area demaniale , così come il costone di Sant’Anna e del Castellazzo della montagna di Erice, è stata duramente danneggiata da un terribile incendio, che ha fatto mancare tanti alberi. Con la conseguenza che l’acqua piovana ha maggiori possibilità di scendere verso il centro urbano contribuendo ad allagare le strade.

immagine in copertina a cura di Fabrizio Calamia
montaggio servizi di Martina Bannino
testi di Mario Torrente