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Pilati: “il mio ricordo del rapimento Moro

45 anni fa veniva rapito il Presidente della Democrazia Cristiana, Aldo Moro.

Il 16 marzo del 1978 rapirono il leader della Democrazia Cristiana, Aldo Moro, in quel momento Presidente dello scudocrociato, e principale fautore del “compromesso storico” – assieme ad Enrico Berlinguer segretario del PCI – che sanciva il disgelo col Partito Comunista Italiano e, addirittura, un possibile accordo politico per andare al governo assieme in una “grande colazione” di salvaguardia nazionale da tanti, tuttavia, bollata come “consociativismo”. Esattamente, 45 anni fa. Uno dei momenti più cupi della storia della Repubblica Italiana. Via Fani, 5 uomini della scorta trucidati ed un futuro pieno di incertezze. A maggior ragione col ritrovamento del corpo di Moro 55 giorni dopo la sua prigionia nel bagagliaio della Renault rossa in via Caetani. Uno delle immagini più cruente della “Prima Repubblica”. Telesud lo vuole ricordare con le parole di Giacomo Pilati, giornalista ed illuminato scrittore trapanese, che sulla sua pagina social ha ripercorso quella tragica giornata, lui, a quei tempi da semplice studente. Ma con la sensibilità che ha poi segnato la sua carriera professionale.

“La professoressa aveva appena aperto il registro di classe. Gli occhiali sul naso. La borsa di pelle nera lucida sulla cattedra. Le penne, una nera e una rossa, tirate fuori lentamente. Un pacchetto di Muratti. Un portacenere da svuotare nel cestino. Una giornata normale. A parte la tensione per una probabile interrogazione in matematica perché alla fine uno dei tre volontari non era venuto a scuola e allora c’era il rischio di finire nella lotteria del dito che scorreva sui nomi. Era appena cominciata la seconda ora, dopo fisica toccava a matematica finanziaria, l’altra materia del suo corso. Per evitare le interrogazioni dovevamo convincerla a spiegare. Eravamo in quel punto esatto della mattina. Hanno bussato alla porta mentre la professoressa stava dicendo di prendere il libro. Era il vicepreside, capelli bianchi, un cappello con la visiera sempre in testa, e una camminata buffa, il busto in avanti e i piedi aperti a imbuto. Si è avvicinato alla professoressa e noi ci siamo alzati come facevamo ogni volta che entrava qualcuno. Le ha sussurrato qualcosa. Si è girato verso di noi, aveva il volto triste: «Hanno rapito Aldo Moro». Ci siamo guardati negli occhi come se ciascuno di noi fosse diventato una parte di un unico corpo. Almeno io ho avuto questa sensazione. «Il rapimento è stato rivendicato dalle Brigate rosse. Ci sono stati cinque morti. A casa ne saprete di più dalla televisione. Le lezioni sono interrotte. Uscite dalla classe con calma». Avevano rapito Aldo Moro. Erano state le Brigate rosse. Era iniziato il conto alla rovescia per comprendere quello che da quel momento in poi sarebbe accaduto. L’avrebbero liberato? Cosa avrebbero chiesto in cambio? Forse ci sarebbe stato un colpo di stato. I carabinieri, l’esercito avrebbero preso il potere come era accaduto in Cile e in Argentina. Il golpe dei fascisti, il coprifuoco, i giornali chiusi. Oppure il golpe dei comunisti di Mosca che con la scusa di eliminare Moro avrebbero preso in pugno l’Italia, che sarebbe diventata come Berlino est. Come quei film di spionaggio che davano alla televisione con la gente triste che non poteva passare dall’altra parte del muro e si doveva accontentare di mangiare pane e patate. Quando sono tornato a casa, alla televisione c’erano le immagini del rapimento, i proiettili a terra, la macchina di traverso. Moro chissà dove. E il primo manifesto delle Brigate rosse con la stella a cinque punte. Sono sceso giù in viale Regione Siciliana. E c’erano dei ragazzi con la chitarra. A loro non importava nulla di Aldo Moro. Dicevano che erano pagati per questo rischio e che tanti operai erano morti per colpa dello Stato che non garantiva a nessuno un lavoro decente e sicuro. E che lo zio di uno di loro era morto in un cantiere e nessuna assicurazione aveva risarcito la famiglia e la colpa era pure di Aldo Moro se c’era questo sistema. Io invece non ero d’accordo e gliel’ho detto, e loro hanno ripreso a suonare.Sono salito di nuovo a casa. C’era Enzo Biagi in televisione, spiegava i rischi che correva la democrazia. Avevo paura. Provavo un sentimento di pericolo che mi stringeva il petto. Avevano rapito Aldo Moro. Avevano rapito il mio Paese. Alle dieci di sera ha squillato il telefono. Era Tommaso. Io pensavo che volesse condividere con me le paure di quella giornata infinita. Invece mi ha chiesto se il giorno dopo c’era sciopero, perché lui nel pomeriggio era uscito con la ragazza e non aveva studiato. «E dopotutto non è così male quello che è capitato ad Aldo Moro, perché così saltiamo il compito d’inglese». Ho riattaccato. Senza pronunciare una parola.”
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Giacomo Pilati

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