Il “re è nudo”. E’ diventata infatti definitiva la confisca dei beni, per un totale di 127 milioni di euro, nei confronti dell’imprenditore marsalese Michele Licata, di sessant’anni, ex patron di diverse catene alberghiere e ristoranti nella Sicilia Occidentale.
Il provvedimento è stato emesso dai giudici della Cassazione che hanno respinto il ricorso presentato da Licata e dai suoi familiari, contro la sentenza di secondo grado emessa dalla sezione delle misure di prevenzione del Tribunale di Palermo che aveva escluso dal provvedimento alcuni beni intestati alla “Wine Resort”, riconducibile alla moglie dell’imprenditore.
Il primo provvedimento si sequestro scattò nel 2015, quando i militari della Guardia di Finanza scoprirono una maxi evasione fiscale. Da allora sono in amministrazione giudiziaria il Delfino, Delfino Beach hotel, il mega complesso Baglio Basile e l’agriturismo La Volpara. Condannato in via definitiva a due anni e mezzo per frode fiscale e assolto dall’accusa di malversazione, è stata dichiarata la prescrizione per truffa allo Stato e tutte le altre contestazioni fino all’anno d’imposta 2010.
Per gli investigatori, tra il 2006 e il 2013, il gruppo Licata avrebbe evaso Iva e altre tasse per circa 6-7- milioni di euro. Nel novembre del 2015, in primo grado, la sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Trapani aveva disposto un parziale dissequestro, restituendo alla famiglia Licata circa metà dei beni sequestrati a fine novembre 2015.
In secondo grado, però, la Corte d’appello ha accolto quasi per intero le richieste dell’accusa, confermando la “pericolosità sociale” dell’imprenditore e applicandogli la misura preventiva della sorveglianza speciale. A fine novembre 2015, gli inquirenti definirono Michele Licata un “abituale evasore fiscale socialmente pericoloso”.
Il maxi-sequestro, disposto su richiesta dell’allora procuratore di Marsala Alberto Di Pisa e dal sostituto Antonella Trainito, fu la più imponente misura di prevenzione patrimoniale per “pericolosità fiscale” a livello nazionale. Lo scorso gennaio, in un altro processo, la Corte d’appello di Palermo gli ha invece confermato la condanna a 5 anni di carcere per auto-riciclaggio.