Ieri pomeriggio, presso la sala dell’Abbraccio del Museo San Rocco, a Trapani si è tenuta la presentazione del libro “Capitan D e l’asteroide B612” scritto dal professore Vincenzo Gagliani e pubblicato dalla casa editrice BUK BUK. Hanno partecipato alla presentazione la prof.ssa Alessandra Di Bono, in qualità di lettrice con il kamishibai, il prof. Danilo Pappalardo, interprete LIS, la pianista Sarah Lampiasi.
“Capitan D e l’asteroide B612” è un viaggio emozionante che, attraverso un fitto gioco di metafore e allusioni, invita i lettori, sia bambini che adulti, a riflettere sul senso profondo della vita, troppo spesso imperniata da preconcetti, stereotipi e apparenze. Capitan D è un bambino nato all’interno di una navicella spaziale dalla quale non è mai uscito nemmeno per abbracciare i suoi familiari. Trascorreva le giornate a navigare nello spazio che per sua fortuna era sempre illuminato dal sole o dalle stelle che il suo unico amico, un lampionaio, alter-ego dell’autore, teneva accese perché lui non conoscesse il buio. La sua condizione di auto-reclusione non gli ha mai permesso di sperimentare il valore dell’amicizia e della condivisione e la cosa nemmeno gli interessava dal momento che il suo unico scopo nella vita era giungere nel famoso Asteroide B612 dove, circolava voce, si trovasse una specie di mondo dei balocchi, dove ognuno potesse essere sé stesso e per questo motivo apprezzato nella sua unicità e dove la diversità era considerata un momento di arricchimento.
Capitan D, tuttavia, non riuscì mai a raggiungere questo lontano asteroide, ma quando compì 13 anni ricevette in regalo un libro di magia che gli tornò utile quando un tiranno spense tutte le stelle del firmamento impedendo alla navicella di proseguire il suo percorso, essendo progettata per navigare esclusivamente lungo rotte illuminate. Inoltre, cosa più grave, questa navicella cominciava a stargli un po’ stretta per il suo corpo che ormai era in continua crescita. Fu così, quindi, che decise di applicare le formule magiche scritte nel libro e di trasformare la sua navicella in una Micella, cioè in uno shuttle con dei ponti che anziché rimpicciolirsi si espandeva.
Il nuovo razzo, tuttavia, funzionava solamente se il suo comandante faceva pensieri buoni, dunque Capitan D decise di srotolare un ponte fuori dalla navetta e di chiedere aiuto ad altri abitanti per liberare il suo amico lampionaio e giungere finalmente sull’asteroide B612. Invitò, quindi, altra gente ad entrare nella sua “casa” e vide che era cosa buona e giusta dal momento che quest’ultima tutte le volte che accoglieva un nuovo ospite si allargava. Capitan D capì finalmente cosa vuol dire stare insieme ad altri, cioè donare e donarsi e poter contare su qualcuno.
Dopo un po’ quel bambino, ormai giovanotto, realizzò che quel mondo che aveva cercato per tutta la vita non era un mondo lontano, ma un mondo alieno, cioè a lui sconosciuto e che era a portata di mano di qualunque bambino e di qualunque individuo, bastava solo una parola magica: insieme. Il libro di Vincenzo Gagliani cerca attraverso delle metafore, nemmeno troppo implicite, di spiegarci il valore della condivisione, prima ancora che dell’inclusione. Capitan D si è sempre rifiutato di avere qualunque tipo di rapporto sociale e questo perché si sentiva diverso e inadeguato; per questo motivo ha trascorso la sua intera infanzia a cercare un altro mondo, un luogo dove non si sentisse giudicato dagli altri, ma quel mondo, purtroppo per lui, non esiste.
Esiste un solo mondo: il nostro ed è nel pianeta terra che possiamo e dobbiamo provare a vivere felici. Per farlo non c’è una ricetta speciale, bisogna “semplicemente” fare un passo avanti e permettere agli altri di farci conoscere il loro mondo e convincere te stesso a mostrare il tuo.
Il protagonista si sente schiacciato nella solitudine di quella navicella che ormai è troppo piccola per un ometto, tuttavia, sarà solamente un episodio negativo a fargli avere il coraggio di cercare l’altro.
L’accento che l’autore prova a porre, e in questo è apprezzabile l’originalità del racconto, non è su cosa tutti noi possiamo fare per includere, ma su quale sia la vera base di ogni inclusione: il dare. “D” come dono: è attraverso il dono che Capitan D capisce di essere lui il protagonista di sé stesso, lui ad allontanarsi dal mondo, non il contrario e lui a trovare la formula giusta per accendere la luce da solo, senza il bisogno del lampionaio.
Il docente di sostegno è spesso chiamato ad un’opera maieutica, a tifar fuori, cioè, dal suo assistito il coraggio e la sua voglia di mettersi in gioco. L’autore, tuttavia, spinge per un discorso più alto, dove professore e studente, ambiente esterno e individuo non devono mettere in pratica fredde strategie d’inclusione, ma devono stare insieme perché non è nella natura dell’essere umano stare da soli. “Non nobis solum nati sumus” (non siamo nati soltanto per noi stessi) è il paradigma del nuovo Capitan D, quello trasformato, che ha capito, cioè, che la sua vera essenza è nel donare agli altri, nella straordinarietà della partecipazione e dell’unione dove uno forse vale uno, ma 100 possono valere 1000. E’ in quest’ottica che il docente di sostegno vorrebbe e dovrebbe lavorare, in un contesto, cioè, in cui tutti dovremmo aiutare tutti nella misura in cui possiamo farlo senza farsi troppe domande su chi deve aiutare chi e come.
Gagliani adotta un linguaggio volutamente elementare e semplice creando un’atmosfera magica e futuristica; le illustrazioni, poi, fanno il resto, aiutando il lettore ad immergersi in un mondo fantastico, sebbene dolcemente crudele e infelice. Per l’autore il diverso non è colui il quale non si comporta, pensa, si muove, come gli altri, ma chi è solo: si è diversi perché si è soli non il contrario.
Se davvero vogliamo l’inclusione, allora dobbiamo permettere a tutti di sentirsi protagonisti attraverso la propria solidarietà, vista, quindi, come una cosa universale, non asimmetrica. Tutti noi, nessuno escluso, possiamo e dobbiamo cercare l’altro e cercare nell’altro noi stessi. In questo senso, infatti, l’Asteroide B612 non è altro che un modo di buttare la palla in tribuna, di non voler affrontare la vita che a volte è ingiusta, ma può anche essere straordinaria, basta viverla con gli altri e se non ci piace questo mondo allora abbiamo il dovere di provare a migliorarlo insieme, non di rinnegarlo. E’ un po’ come dice il protagonista del film “Full metal Jacket” di memoria kubrickiana, il soldato Jocker al ritorno dalla guerra in Vietnam: “E’ vero: questo mondo fa schifo, ma sono contento di essere vivo.”


