A Marsala le battute finali del processo al dott. Alfonso Tumbarello

Battute finali del processo a carico del dott. Alfonso Tumbarello, arrestato in data 7 febbraio 2023, imputato per concorso esterno in associazione mafiosa e falso in atti pubblici per avere redatto numerosi certificati che avrebbero consentito all’allora boss latitante Matteo Messina Denaro di potersi curare sotto il falso nome di Andrea Bonafede.
Durante il corso dell’udienza di ieri 19 marzo celebrata nell’aula Borsellino del Tribunale di Marsala, davanti al Collegio presieduto dal Presidente Vito Marcello Saladino, l’avvocato Gioacchino Sbacchi (legale difensore insieme all’avvocato Giuseppe Pantaleo del dott. Tumbarello) ha concluso la fase difensiva.
La prima contestazione dell’avv. Sbacchi fa perno sul capo di imputazione, non associazione a delinquere ma favoreggiamento e falso ideologico, reati che a parere dell’avvocato non possono essere ascritti al dott. Tumbarello in quanto il dott. Tumbarello veniva ingannato dai due omonimi Andrea Bonafede classe 63 e classe 69, fatto che il dott. Tumbarello ribadiva durante il corso dell’esame dell’imputato, “Sarei andato dalle Forze dell’Ordine se fossi stato a conoscenza del fatto che dietro l’identità di Bonafede si celava Messina Denaro”, aveva affermato il dott. Tumbarello.
La contestazione del reato di falso ideologico, le “sbavature”, come le ha definite l’avv. Sbacchi, a suo parere, dovrebbero essere ascritte ai due Bonafede in quanto non coinciderebbero luoghi e tempi.
“L’accusa è frutto di una suggestione e questa suggestione governerà l’intero processo che ha visto il dott. Tumbarello come il medico che ha curato Messina Denaro”, sostiene Sbacchi.
Secondo l’avv. Sbacchi, l’intero processo è stato teso, mirato a sostenere che il dott. Tumbarello “non poteva non sapere che dietro l’identità di Bonafede si celasse Messina Denaro”, favorendo la rete di protezione di cui ha goduto l’allora boss latitante.
Rete di protezione che, a parer dell’avvocato, hanno goduto in anche i due Bonafede.
Di fatto, continua l’avvocato Sbacchi, se si analizza la cronistoria dei dispositivi sequestrati in uso al dott. Tumbarello, si evince che nessun messaggio è stato cancellato o modificato, e che i contatti con Andrea Bonafede, sono esclusivamente per comunicazioni mediche.
Andrea Bonafede, non diviene paziente del dott. Tumbarello nel 2020 quando Messina Denaro iniziava una serie di accertamenti clinici, ma nel 2018 quando Bonafede accede per la prima volta allo studio medico del dott. Tumbarello.
Messina Denaro, afferma l’avvocato, non ha goduto solo delle prestazioni del servizio nazionale, ma anche delle prestazioni private, come quando in data 19 ottobre 2020, si recava personalmente nello studio privato del dott. Bavetta (sotto la falsa identità di Andrea Bonafede) il quale prescriveva accertamenti e il 3 novembre Messina Denaro riceveva personalmente giudizio clinico che consisteva in carcinoma al colon.
Il 5 novembre, il dott. Tumbarello, ricevendo la visita del vero Andrea Bonafede, definito dall’avvocato Sbacchi il “cargiver” di Messina Denaro, con un referto del 4 novembre del dott. Urso, e con ltutta una serie di documentazione, prescriveva il ricovero di Andrea Bonafede (sotto la cui identità si celava Messina Denaro) alla clinica La Maddalena dove inizierà il percorso clinico legato alla malattia.
Dalla fine del 2020 in poi, il dott. Tumbarello prescriverà solo ricette mediche, prescrizioni su indicazioni della clinica La Maddalena senza mai aver incontrato personalmente Messina Denaro; la comunicazione, ribadisce ancora una volta l’avvocato Sbacchi, è solo tra la clinica e il dott. Tumbarello ed esclusivamente per le prescrizioni di cui necessitava Messina Denaro.
Fatti che aveva ribadito anche l’avvocato Pantaleo, “Solo ipotesi e indizi, nessuna prova che il dott. Tumbarello conoscesse la vera identità del paziente convinto di curare Andrea Bonafede come del resto i tanti medici che lo hanno curato”.  
Per tali ragioni, l’avvocato Sbacchi ha chiesto l’assoluzione del proprio assistito “per non aver commesso il fatto” in relazione al concorso in associazione mafiosa, e “perchè non costituisce reato” relativamente all’accusa di falso ideologico.
La pubblica accusa in giudizio rappresentata dal Pubblico Ministero della D.D.A. Gianluca De Leo, durante il corso della requisitoria aveva avanzato richiesta di condanna alla pena di anni 18 di carcere.
Sarà data lettura del dispositivo di sentenza il prossimo 7 maggio.