Peppino Impastato aveva 30 anni, quando venne ucciso il 9 maggio del 1978. Tutti conoscevano, e non solo a Cinisi, i suoi attacchi e le sue denunce contro Cosa nostra dai microfoni di Radio AUT. Peppino aveva interrotto ogni rapporto con il padre, uomo vicino alla mafia che all’epoca contava, e schedato mafioso. Radio Aut fu la sua forma di ribellione. Una ribellione comunicata a gran voce denunciando gli affari del boss di Cinisi, Tano Badalamenti, che aveva soprannominato “Tano Seduto”. Fu Peppino Impastato, in una delle sue invettive contro la criminalità organizzata a definire la mafia “una montagna di merda”. Irridente e irriverente non solo la sostanza, ma anche la forma comunicativa, lo resero una voce scomoda che bisognava silenziare a tutti i costi in una Sicilia in cui il dominio della criminalità organizzata, soprattutto a livello di controllo sociale, oltre che economico e politico, era assoluto. Il suo cadavere fu trovato sui binari della ferrovia. Accanto c’era del tritolo. Cosa Nostra, maestra dei mascariamenti, sperava che la sua morte passasse per un fallito attentato terroristico. In un primo momento, in una Italia sconvolta dall’omicidio di Aldo Moro e distratta dalle vicende siciliane, tutti pensarono che la morte di Peppino fosse avvenuta proprio in un fallito attentato. Ma gli amici di Radio AUT e il fratello Giovanni scoprirono la verità costringendo forze dell’ordine e giudici a orientare le indagini verso l’evidenza. Quello di Peppino Impastato fu un delitto politico-mafioso, come per anni ha denunciato anche la madre, Felicia Bartolotta, che fin da subito puntò l’indice contro la mafia. La vicenda di Peppino Impastato è raccontata splendidamente nel film del 2000 di Marco Tullio Giordana “I cento passi”. Titolo omonimo per una canzone dedicata a Peppino Impastata dai Modena City Rambles.