Ottanta proprietari di abitazioni costruite nella fascia dei 150 metri dalla battigia, quindi inedificabile, riuniti nell’Associazione àKasa hanno presentato ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Chiedono che la CEDU tuteli il loro diritto contro le procedure avviate dai comuni di Marsala, Trapani, Erice, Valderice, Custonaci e San Vito Lo Capo, che nel corso degli anni hanno ripetutamente negato sanatorie e opposizioni alle conseguenti ordinanze di demolizione, acquisizione al patrimonio comunale e sgombero degli immobili costruiti entro la fascia dei 150. I soci di Akasa, che per altro ritengono di intepretare i sentimenti di molti di quei cittadini siciliani considerati abusivi, lamentano la violazione del diritto al rispetto dell’abitazione, della vita familiare e dei beni, e puntano l’indice accusatore contro la condotta tenuta nel corso dei decenni dalle amministrazioni locali, che da un lato hanno lasciato fare per poi applicare il massimo rigore grazie alle norme retroattive varate dalla Regione Siciliana. Il ricorso è stato promosso con il patrocinio del Prof. Andrea Saccucci dello studio legale internazionale “Saccucci e Partners” assistito dall’avvocato Michele Guitta del foro di Trapani. Qualora i ricorsi venissero accolti, la Corte di Strasburgo potrà avere una visione totale di quanto legiferato in Italia e particolarmente nella Regione Siciliana dal 1976 ad oggi, compresa proprio l’annosa questione della retroattività del vincolo di inedificabilità, introdotta dalla legge regionale 15/91, che di fatto ha reso abusivi, a più di 15 anni di distanza dalla prima norma del ‘76, migliaia di siciliani. «I provvedimenti contestati dinanzi alla Corte europea – hanno spiegato gli avvocati Saccucci e Guitta – si fondano sull’applicazione retroattiva di una legge di interpretazione autentica del 1991 per sopperire all’inerzia delle amministrazioni locali nell’adozione dei piani regolatori. Non soltanto dunque i ricorrenti non potevano prevedere il diniego della sanatoria, ma ad essi è stato consentito per decenni di vivere nelle proprie abitazioni, che oggi i comuni pretendono di acquisire senza indennizzo». «È inammissibile – dicono i legali – che siano proprio le amministrazioni colpevoli dei ritardi nell’attuazione delle norme urbanistiche a trarre beneficio dagli immobili costruiti dai ricorrenti oltre quarant’anni fa ed ormai inseriti in contesti completamente urbanizzati».