di Fabio Pace

Lo Statuto dei Lavoratori è la normativa, in tema di diritto del lavoro, posta a fondamento dei principi stabiliti dalla nostra carta costituzionale, a partire dall’articolo 1. Una conquista che fu frutto di lotte sindacali, scioperi, scontro sociale, o se si preferisce di «lotta di classe» e di una complessa mediazione tra il Governo e i Sindacati, in prima linea CGIL CISL e UIL e, soprattutto, quella parte dei lavoratori italiani che erano impegnati nel sistema produttivo delle fabbriche, grandi e medie: le cosiddette “tute blu”, i metalmeccanici. Ancora oggi, lo statuto dei lavoratori costituisce l’ossatura e la base di molte previsioni ordinamentali in materia di diritto del lavoro in Italia: l’uscita dalle gabbie salariali e il salario unico; il rispetto dei contratti. Fu un arginare alla facoltà di licenziamento da parte dei datori di lavoro che veniva utilizzata, di frequente, per contrastare i ripiegamenti produttivi dovuti a cali di mercato. Il testo di legge fu concordato a partire dalle iniziative di Giacomo Brodolini, sindacalista socialista che fu Ministro del lavoro, che richiese l’istituzione di una commissione nazionale per la redazione di una bozza di statuto (proprio da lui chiamato “Statuto dei diritti dei lavoratori”). Alla presidenza di quella commissione Brodolini chiamò Gino Giugni, anch’egli socialista, giuslavorista e docente universitario, e un comitato tecnico di notevole spessore. Ma è con la firma del democristiano Carlo Donat Cattin, ex sindacalista della CISL torinese, capace di mediare con il sistema confindustriale, con in testa la FIAT, che il provvedimento vide l’approvazione in parlamento. Oggi il lavoro è radicalmente cambiato, come profondamente diversi sono i sistemi di produzione, ma le esigenze di tutela rimangono le stesse di mezzo secolo fa quando fu approvata la legge 20 maggio 1970, n. 300, come confermato anche dal segretario generale della CGIL di Trapani, Filippo Cutrona.

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