di Fabio Pace

In carcere, in attesa di un trattamento chirurgico e di una terapia che si dovrebbe avvalere, per avere il massimo della efficacia, di antibiotici, farmaci immunosoppressori e farmaci biologici. Il protagonista di questa storia di burocrazia e di diritti, se non negati certamente troppo lentamente riconosciuti, è un giovane uomo catanese di 37 anni, di cui ci siamo già occupati, e che abbiamo chiamato con un nome di fantasia: Alfio. È detenuto presso la Casa Circondariale “Pietro Cerulli” di Trapani, ed è affetto dalla malattia di Crohn, una patologia autoimmune che aggredisce l’intero tubo digerente, dalla bocca all’ano passando per i tessuti dell’apparato intestinale. La malattia è stata diagnosticata ad Alfio da una struttura pubblica del Sistema Sanitario Nazionale: il policlinico Vittorio Emanuele di Catania. Le sue condizioni, in stato di detenzione, dalla prima diagnosi, sembra siano peggiorate, ed oggi la malattia si manifesta in forme sempre più aggressive su un fisico già profondamente provato da dimagrimento, diarree, impossibilità di praticare una alimentazione mirata. Seguiamo la sua vicenda attraverso le disperate segnalazioni della madre che teme per la salute e per la vita del figlio. Quando ce ne occupammo la prima volta, l’avvocato di fiducia in prima istanza ne chiese la detenzione ai domiciliari, del resto Alfio deve scontare ancora meno di un anno di prigione per reati legati alla droga. Oggi l’urgenza è un’altra. Alfio ha bisogno di cure più appropriate, compreso un drenaggio chirurgico per delle fistole anali che, leggiamo in un manuale di medicina “si manifestano con dolore, febbre, perdite di sangue e secrezioni maleodoranti ed impattano in maniera fortemente negativa sulla qualità di vita dei pazienti”. Circostanza nota alle autorità penitenziarie e sembra ci sia in corso anche una specifica richiesta al DAP di Palermo per un possibile ricovero presso un reparto specialistico dell’ospedale Civico, avallata dai medici del carcere di Trapani, dove è stato fatto tutto quanto possibile per il paziente / detenuto, nei limiti di una struttura carceraria. Paziente e detenuto, due condizioni confliggenti eppure coesistenti, una dicotomia in cui la burocrazia della amministrazione penitenziaria finisce con il ridurre a terzo escluso la dignità della persona. Come avevamo fatto nel precedente servizio ricordiamo che la convenzione europea dei diritti dell’uomo riconosce ai detenuti, quindi nel caso anche ad Alfio, “maggiore tutela proprio per lo stato di vulnerabilità della sua situazione in cui versa e per il fatto di trovarsi totalmente sotto la responsabilità dello Stato”. Pone a carico dell’Autorità, in questo caso l’amministrazione penitenziaria, un obbligo positivo consistente nell’assicurare ad ogni detenuto che si trovi in condizioni di incompatibilità con il rispetto della dignità umana, che le modalità di esecuzione delle pena non sottopongano l’interessato ad uno stato di sconforto, né ad una prova d’intensità che eccede l’inevitabile livello di sofferenze inerenti la detenzione.