Oltre 900 pratiche sono in attesa di essere esaminate dall’Assessorato regionale Territorio e ambiente per un totale di investimenti bloccati che supera abbondantemente i 2 miliardi di euro e, di queste, 140 sono quelle relative al settore lapideo siciliano. Nello specifico, si tratta delle richieste inoltrate al Servizio 1 Via-Vas, con particolare riferimento alle “Autorizzazioni uniche ambientali” e alle “Verifiche di assoggettabilità”, espletate da una commissione costituita ah hoc per accelerare i tempi, la Commissione tecnica specialistica (Cts). Il risultato per il settore lapideo in particolare è però di appena 24 pratiche esaminate negli ultimi 10 mesi contro le 47 vagliate da agosto 2018 a maggio 2019. Di queste, quelle esitate positivamente sono una decina. In sintesi, negli ultimi 10 mesi è stato dato il via libera al 23% delle pratiche autorizzate nei precedenti 10 mesi. Un ennesimo schiaffo all’economia di una regione già in fase di sostanziale stagnazione e che, con il diffondersi della pandemia, ha visto le attività produttive subire una ulteriore drammatica contrazione. È per questo che la sezione Marmo di Sicindustria, insieme con il Consorzio della Pietra lavica dell’Etna e il Consicav, il Consorzio siciliano cavatori, ha inviato una nota all’assessore Toto Cordaro, per chiedere un incontro alla Regione “al fine di formulare soluzioni urgenti da mettere in campo”, ma, soprattutto, per spiegare attraverso l’analisi puntuale e dettagliata di numerosi casi concreti, come “oltre che dal punto di vista statistico, l’attività della Cts desti molte perplessità anche sul versante delle motivazioni addotte”. Capita così che la richiesta di apertura di nuova cava di lapideo di pregio sia stata rigettata perché “l’emissione di polveri potrebbe comportare alterazioni metaboliche e respiratorie a carico dell’invertebrato fauna terrestre (es. lepidotteri e odonati)…, o occasionali eventi di mortalità per collisioni dovuti all’attività dei mezzi…”. “Ci si interroga – sottolineano ancora le imprese – circa gli accorgimenti presi per evitare coerentemente che nessun insetto si schianti sul parabrezza delle auto…”. Questo è solo un esempio. In altri casi viene richiesto un piano di monitoraggio ante-operam quando la cava esiste già da decenni e la richiesta è relativa a un progetto di rinnovo per il completamento di un piano di coltivazione originariamente approvato. O ancora, si chiede l’individuazione delle aree di accantonamento del materiale di scarto quando, così come indicato nello studio di incidenza, “l’attività estrattiva e di trattamento della pietra, non produce rifiuti o scarti, visto che la materia prima è sfruttabile sia per la produzione di massi che di tout venant di cava per la produzione di aggregati lapidei”. Lo studio trasmesso all’assessorato contiene una trentina di casi per spiegare nel dettaglio le anomalie riscontrate che stanno creando notevoli problemi a un comparto che fattura oltre 250 milioni di euro di prodotto, dei quali 141 destinati all’estero, e occupa 9.887 addetti in circa 500 cave in esercizio.