di Fabio Pace

Neppure Kafka avrebbe potuto immaginare una vicenda così paradossale come quella vissuta dall’imprenditore edile Pietro Funaro. Accusato di essere al servizio di Cosa Nostra è stato per anni sotto indagine, con relativo e conseguente sequestro dei beni personali ed aziendali. Dopo anni vissuti con il peso della accusa infamante di essere un imprenditore mafioso, Pietro Funaro è stato riconosciuto del tutto estraneo ai fatti che gli venivano contestati. Una indagine che è apparsa zoppicante e priva di riscontri e, in alcuni casi, anche superficiale, con un clamoroso scambio di persona. Ma tant’è, Funaro, benché con una comprensibile rabbia repressa e refrattario ai riflettori dei media, si è limitato a definire il suo calvario giudiziario: “assurde vicissitudini”. La stessa magistratura che lo ha indagato gli ha riconosciuto, scrive in una nota sul suo profilo FB, “il pieno diritto ad avere restituito tutto ciò che mi appartiene”. Tra questi beni anche i mezzi aziendali che, sottolinea l’imprenditore, «improvvidamente l’allora giudice delegato Pietro Grillo, in pendenza di sequestro, ebbe ad affidare a taluni enti pubblici che al tempo ne fecero richiesta di affidamento per motivi di “pubblica utilità”». Per 5 anni il comune di Castellammare del Golfo ha potuto utilizzare i mezzi della impresa Funaro. Ora, però, dopo mesi e nonostante i verbali ufficiali di restituzione e di messa in pristino i mezzi di Pietro Funaro oggi sono danneggiati, parcheggiati, o meglio in stato di completo abbandono e senza manutenzione (nella foto un camion e una ruspa nell’autoparco del comune di Castellammare). Restituzione che non è ancora avvenuta nonostante, scrive Funaro «tante sollecitazioni da parte degli organi giudiziari preposti». «È vergognoso – dice l’imprenditore – che nessuno si attivi per restituirmi ciò che è mio ed è frutto del lavoro di anni». Funaro conclude ricordando che oltre al comune di Castellammare del Golfo anche i comuni di Paceco, e l’Unione dei Comuni Elimo Ericini devono restituire i mezzi avuti in uso al tempo del sequestro. Ma tutti hanno dato a Funaro la stessa risposta: non hanno i fondi per ripararli e restituirli al legittimo proprietario.