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Arci Scirocco, ANPI e rifondazione comunista: le nostre ragioni del NO al referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari

Ecco la nota di Arci Scirocco, ANPI e Rifondazione Comunista, con le ragioni del NO al referendum costituzionale del 20 e 21 settembre:

“Tra pochi giorni il nostro Paese sarà chiamato  – anche se i media ne stanno parlando pochissimo – a votare il Referendum confermativo riguardante la legge sul “taglio” al numero dei parlamentari. Per l’esattezza, questa legge prevede la modifica degli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione. Votando “SI” i cittadini approveranno la riduzione prevista dalla legge in questione, con il conseguente taglio di 230 deputati e di 115 senatori; dunque, se dovessero vincere i “SI” , dalle prossime elezioni in avanti, il nuovo Parlamento sarà formato da 400 deputati (contro gli attuali 630) e 200 senatori (contro gli attuali 315), senza contare i senatori a vita, la cui nomina spetta al presidente della Repubblica. In caso di vittoria dei “NO”, invece, la legge verrà respinta e il numero dei parlamentari rimarrà invariato. Trattandosi di una riforma costituzionale, è stato necessario ricorrere alla cosiddetta “procedura aggravata”, vale a dire che il testo della legge è stato approvato dai 2/3 del Parlamento, non dalla maggioranza semplice, come per le leggi ordinarie; e poiché la maggioranza dei 2/3 è stata raggiunta solo nell’ultimo passaggio alla camera, è stato necessario ricorrere al Referendum confermativo. Ricordiamo che questo tipo di Referendum non prevede un quorum: dunque il numero dei votanti non sarà determinante, conterà solo la percentuale di “SI” e di “NO” espressi dai cittadini che si recheranno alle urne.
Va subito detto che non si tratta di una riforma paragonabile, per peso, a quelle proposte – e fortunatamente respinte – negli anni scorsi dai governi di Berlusconi e di Renzi, che avrebbero stravolto il Parlamento producendo danni irreparabili. Non si tratta di una riforma dettata da pulsioni autoritarie o tale da produrre effetti devastanti, ma i cambiamenti che seguirebbero alla riduzione del numero dei parlamentari non sarebbero affatto di poco conto e vanno, pertanto, valutati con grande attenzione.
È necessario, innanzi tutto, porsi due semplici domande:
1. Quali sono le ragioni alla base di questa riforma?
2. Quali cambiamenti seguirebbero al taglio dei parlamentari? Il sistema ne uscirebbe rafforzato o indebolito?
Per rispondere alla prima domanda è necessario ricordare le motivazioni addotte dal Movimento 5 stelle, principale promotore di questa riforma: il taglio farebbe risparmiare allo Stato 81,6 milioni di euro l’anno e renderebbe il Parlamento meno pletorico e più efficiente, riducendo i tempi delle decisioni e liberandolo da deputati e senatori inadeguati e improduttivi.                                          La prima motivazione è, con ogni evidenza, assai debole: gli 81,6 milioni di risparmio corrispondono appena allo 0,01% delle spese complessive affrontate dall’ Italia nel 2020.                 Si potrebbero ottenere risparmi assai più consistenti tagliando non il numero dei parlamentari, ma i loro stipendi e quelli dei deputati regionali (i deputati nazionali e regionali del nostro paese sono tra i più pagati d’Europa), cosa che si potrebbe fare con una legge ordinaria, senza bisogno di mettere mano alla Costituzione. Inoltre, il taglio dei parlamentari comporterebbe inevitabilmente una riduzione della rappresentanza: attualmente un deputato rappresenta 96.000 abitanti e un senatore 189.000, mentre con la vittoria del “SI” si avrebbe un deputato ogni 153.000 abitanti e un senatore ogni 301.000. Il taglio, inoltre, non interesserebbe in modo omogeneo i parlamentari di tutte le regioni:  come ha scritto recentemente Emilio Serianni su “Il Manifesto”, La media del taglio di parlamentari sarà, in percentuale, del 36,5%, ma, ad es. in Calabria sarà del 40%, in Basilicata del 57,1%. In Trentino Alto Adige per eleggere un senatore basteranno 171 mila abitanti, in Sardegna ce ne vorranno 328 mila, come dire che il voto di un sardo varrà la metà di quello di un altoatesino ed eccoci ricacciati agli albori dello stato unitario. Stando così le cose, vale davvero la pena indebolire la rappresentanza del Parlamento per un risparmio che equivale pressappoco il costo di un cappuccino l’anno per ciascun italiano? La risposta è NO.
La seconda motivazione (rendere il Parlamento più snello ed efficiente) è più interessante e, apparentemente, più convincente; tuttavia, siamo davvero sicuri che la lentezza, la scarsa efficienza del nostro Parlamento e la presenza in esso di deputati e senatori improduttivi sia dovuta ai numeri troppo alti? Noi siamo convinti che non sia così: è bene ricordare che l’attuale legge elettorale (il “Rosatellum”) prevede collegi uninominali e liste bloccate, due strumenti che, di fatto,  limitano fortemente la scelta degli elettori, consentendo ai partiti la possibilità di determinare in partenza l’elezione dei candidati da loro considerati più importanti. È evidente che, in un sistema così, i leader dei partiti tendono a scegliere i candidati in base alla loro “fedeltà”, non alla loro effettiva competenza. Il risultato è un Parlamento di “nominati” dalle segreterie dei partiti, più che di rappresentanti effettivamente scelti dai cittadini: è questa la vera ragione dell’inefficienza del nostro Parlamento.  E se ci si limitasse a ridurre il numero dei parlamentari senza mettere mano alla legge elettorale, questo fenomeno finirebbe quasi certamente per aggravarsi. L’attuale governo sta infatti elaborando – faticosamente – una nuova legge elettorale, il cosiddetto “Brescellum”, che prevede l’abolizione dei collegi uninominali, mentre non è ancora chiaro se verranno abolite o meno le liste bloccate in favore delle preferenze; è certo, però che non sarà possibile approvare il “Brescellum” prima del Referendum, il che significa che se per qualche ragione la nuova legge elettorale dovesse “saltare” o non dovesse contenere dei correttivi adeguati ai problemi esposti in precedenza, il risultato sarà un Parlamento ancora più lento e inefficiente di prima. Vale la pena di correre un simile rischio? Nuovamente, la risposta è NO. Aggiungiamo che il Governo non ha neppure accennato alla possibilità di modificare i regolamenti parlamentari o di introdurre la “sfiducia costruttiva”, provvedimenti che contribuirebbero certamente a rendere più efficiente il lavoro del Parlamento.
Alla luce di queste considerazioni è facile rispondere alla seconda domanda: i cambiamenti che seguirebbero al taglio dei parlamentari hanno ottime probabilità di indebolire il sistema.
Siamo onestamente convinti che alla base dell’idea di ridurre il numero dei parlamentari ci sia in realtà un atteggiamento fortemente “antipolitico”, ormai molto diffuso nel nostro paese, cavalcato per opportunismo dai partiti che sostengono la riforma costituzionale: la maggior parte degli Italiani ritiene che i politici siano delle zavorre improduttive e che il Parlamento sia costituito per la maggior parte da ladri e fannulloni? Benissimo, allora accontentiamoli riducendo il numero dei parlamentari, così guadagneremo consensi!
Noi invece, crediamo nella politica, perché sappiamo che essa è uno strumento indispensabile per migliorare la vita delle persone. Quella che va combattuta è la cattiva politica, quella – per intenderci – pronta a tutto pur di guadagnare consensi. Quella che considera il potere non come un mezzo per servire il proprio paese, ma come un fine personale.
Per queste ragioni noi di Arci Scirocco, insieme all’Associazione ANPI e al Partito Rifondazione Comunista, invitiamo i cittadini e le cittadine a votare NO al Referendum.                       La democrazia ha bisogno di cura e di passione politica, non di tagli indiscriminati”. 

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