Il Tribunale di Roma ha accolto la richiesta di un ristoratore che, a causa della pandemia di SARS-CoV-2, essendo stato costretto, suo malgrado, a restare chiuso per diversi mesi su ordine del Governo nazionale, chiedeva una riduzione del canone di locazione “non avendo lavorato per causa a lui non imputabile”. Il Tribunale ha analizzato il disposto dell’art. 1467 codice civile (eccessiva onerosità sopravvenuta) spiegando che il dettato normativo prevede che la parte per la quale il contratto è divenuto eccessivamente oneroso ha diritto ad ottenere la risoluzione del contratto stesso, ma non la rinegoziazione. Questo principio è stato poi agganciato al principio di buona fede e all’Art. 2 della Costituzione  (“La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”) richiamando in questo modo il diritto costituzionalmente sancito della solidarietà economica. Dal “combinato disposto”, cioè la lettura complessiva dall’interazione delle diverse norme tra loro, il Tribunale ha richiamato la clausola generale della buona fede (aver sempre pagato i canoni regolarmente) e di solidarietà sancito dall’art. 2 della Carta Costituzionale per riportare il contratto entro i limiti dell’alea normale del contratto. Quindi interagendo sugli Art.li del C.C. e della Costituzione il Giudice ha accolto il ricorso del ristoratore, stabilendo una riduzione del canone del 40% per i mesi di marzo e aprile 2020, e del 20% per i mesi successivi, fino a marzo 2021, oltre alla sospensione della garanzia fideiussoria. La notizia della sentenza è stata diffusa dal Sindacato Inquilini ANIA che aveva posto con forza il tema dei sui canoni di locazione per le attività commerciali bloccate dal Coronavirus, chiedendo anche un intervento del Governo che regolasse il rapporto tra privati.