Ieri abbiamo pubblicato un ampio stralcio della sentenza della quinta sezione della Corte di Cassazione che lo scorso 29 settembre ha fatto che fossero restituiti tutti i beni all’imprenditore di Dattilo Michele Mazzara. Il presidente Carlo Zaza, udito il relatore Luca Pistorelli ha annullato “senza rinvio il decreto impugnato nella parte in cui conferma la misura di prevenzione della confisca di cui dichiara la perdita di efficacia e ordina la restituzione di tutti i beni agli aventi diritto…, avverso il decreto della Corte d’appello di Palermo del novembre 2018 ”. Riportiamo, anche oggi, la seconda parte della sentenza quasi interamente che riguarda le considerazioni in punta di diritto degli ermellini. Eccola:

CONSIDERATO IN DIRITTO

I ricorsi proposti nell’interesse del Mazzara e della Barone sono fondati nei limiti di seguito esposti ed in particolare risulta fondata l’eccezione proposta con il primo motivo dei suddetti. La decisione impugnata è stata adottata il 26 novembre 2018, ma il decreto completo della motivazione è stato depositato il 13 dicembre 2019, data a cui, secondo l’oramai consolidatosi orientamento di questa Corte cui il Collegio intende aderire, è necessario fare riferimento ai fini della verifica del rispetto del termine previsto ex lege. Nel caso di specie, infatti, è pacifico che il suddetto termine di un anno e sei mesi ha iniziato a decorre dal 9 giugno 2015, data in cui è stato depositato l’ultimo dei ricorsi d’appello e che lo stesso è stato prorogato dalla Corte per due volte per sei mesi ciascuna, venendo invece sospeso per complessivi anni due, mesi uno e giorni ventiquattro a seguito dei provvedimenti elencati nel decreto impugnato. Come illustrato, i ricorrenti lamentano l’illegittimità di una delle sospensioni calcolate dai giudici del merito per affermare la tempestività del deposito del decreto ed in particolare di quella conseguente al rinvio dell’udienza del luglio 2016. In tal senso evidenziano come tale rinvio era stato invero disposto sia per consentire al PM di procedere ad una integrazione probatoria, che per consentire alla difesa un termine per esaminare le produzioni documentali effettuate dallo stesso PM nel corso della medesima udienza, causali che espressamente la normativa escluderebbe dal novero di quelle in grado di determinare la sospensione dei termini di custodia cautelare. Dal verbale della citata udienza – cui la Corte ha accesso in ragione della natura processuale dell’eccezione e che è stato altresì allegato all’atto di impugnazione – risulta che il PM aveva chiesto di produrre il decreto di applicazione di misura di prevenzione a carico di F.C. e la copia informe di una sentenza emessa nei confronti di G.F. e V.F.. Uno dei difensori presenti chiedeva allora la concessione di un termine per esaminare la documentazione offerta in produzione ed il PM a sua volta chiedeva un termine per consentirgli di produrre copia della sentenza. La Corte, in espresso accoglimento di entrambe le richieste, concedeva il rinvio all’udienza del 5 dicembre 2016 e contemporaneamente disponeva la sospensione dei termini di efficacia della confisca. Alla luce delle illustrate risultanze l’eccezione dei ricorrenti, come accennato, deve ritenersi fondata. In proposito va anzitutto ricordato che ex lege il calcolo del termine di efficacia della confisca di prevenzione nel giudizio d’appello deve tenere conto delle cause di sospensione di quelli della custodia cautelare previste dal codice di procedura penale in quanto compatibili. Per l’individuazione di queste ultime deve dunque guardarsi alla normativa che contiene per l’appunto la disciplina delle suddette cause di sospensione, escludendo quelle che risultano incompatibili con il giudizio di prevenzione in quanto plasmate specificamente sul processo di cognizione. Ed in tal senso non è dubbio che risultino compatibili con il procedimento di prevenzione i casi di sospensione che in una fattispecie, addirittura, esclude espressamente la sospensione dei termini nel caso di rinvio disposto per esigenze di acquisizione della prova o in seguito alla concessione di un termine per la difesa. Non è dubbio, come già illustrato, che nel caso di specie la Corte territoriale abbia espressamente disposto il rinvio dell’udienza anche in accoglimento della specifica richiesta del PM di poter produrre un documento destinato ad ampliare la piattaforma cognitiva del giudicante. Risulta dunque che il rinvio è stato disposto anche per esigenze di acquisizione della prova e tanto è sufficiente per escludere che potesse essere ordinata la sospensione del termine di efficacia della confisca. Come illustrato, però, viene eccepito dai ricorrenti che il rinvio dell’udienza del luglio 2016 è stato ordinato anche in ragione della concessione della richiesta di un termine a difesa, causale che, come detto, certamente impedirebbe la sospensione del termine ex lege. Nella sua requisitoria scritta, per sostenere l’infondatezza dell’eccezione, il PG ha richiamato la prima Sezione la quale ha affermato il principio per cui «l’accoglimento della richiesta difensiva di rinvio del procedimento per necessità di esame degli atti è idoneo a determinare la sospensione dei termini di efficacia della confisca…». Nella motivazione della citata sentenza ha altresì precisato che i “termini per la difesa” evocati sarebbero solo quelli tassativamente contemplati dalle specifiche disposizioni codicistiche che ne prevedono l’obbligatoria concessione qualora richiesti. Tale interpretazione della normativa non può però essere condivisa. Anzitutto va escluso che i principi affermati dalla sentenza possano trovare un addentellato nella motivazione delle Sezioni Unite ( n. 1021 del 2001) la quale, in realtà, esclude l’addebitabilità della sospensione o del rinvio del processo alla parte in caso di esercizio del diritto di difesa e solo apparentemente riconduce in maniera tassativa la nozione di “termine per la difesa” di cui all’art. 304 codice procedura penale alle ipotesi disciplinate dalle disposizioni citate in precedenza, evocandone invece il contenuto al fine di determinare in cosa consista l’esercizio di tale diritto. In secondo luogo va osservato come il legislatore abbia assegnato al governo del giudice il bilanciamento tra le esigenze del processo e la garanzia del concreto ed effettivo esercizio del diritto di difesa, provvedendo attraverso le citate disposizioni a sottrargli preventivamente, in determinati casi tassativamente previsti, ogni discrezionalità in merito alla necessità che tale bilanciamento si traduca in un rinvio del primo. Ciò non toglie che il giudice, nel ricercare il punto di equilibrio in grado comunque di consentire alla parte di esercitare il proprio diritto possa addirittura concedere un differimento dell’udienza, modulandone secondo lo spessore dell’esigenza i tempi. In tal senso, da un lato, le ipotesi normativamente previste di cui si è detto non hanno la vocazione a definire una nozione di “termine per la difesa”. Pertanto, ogni qual volta il giudice riscontrando l’effettiva necessità di concedere del tempo in funzione dell’invocato esercizio del diritto di difesa, alla parte non potrà essere imputata la causa della sospensione o del rinvio nemmeno nel procedimento di prevenzione. Nel caso di specie non è poi dubbio che l’introduzione di una nuova prova da parte del PM determini il diritto per la difesa di avere il tempo per prenderne cognizione e partecipare in maniera consapevole effettiva al contraddittorio. Spetta, come detto, al giudice modulare le modalità attraverso cui garantire l’effettività delle garanzie difensive, tenuto conto delle concrete circostanze, ma non v’è dubbio che, qualora lo strumento prescelto sia quello della sospensione o del rinvio dell’udienza rimanga escluso che il termine del combinato normativo venga sospeso. In conclusione deve dunque escludersi che il rinvio dell’udienza del luglio 2016 abbia determinato la sospensione del procedimento d’appello nei confronti dei ricorrenti fino alla successiva udienza del dicembre 2016, ancorchè dichiarata nel relativo verbale, e dunque erroneamente la Corte territoriale ha tenuto conto del periodo intercorso tra le due udienze nel computo relativo alla valutazione della tempestività del decreto impugnato, il cui termine si è invece compiuto già il 5 settembre 2019 e dunque ben prima della data in cui è stato effettivamente depositato. Ne consegue che il provvedimento confisca dei beni dei proposti ha perduto la sua efficacia. L’accoglimento del primo motivo di ricorso ovviamente non solleva il Collegio dall’esame degli altri motivi proposti dai ricorrenti Mazzara e Barone. Inammissibili sono invero il secondo, il terzo ed il quarto motivo, che possono essere trattati congiuntamente. I primi due si fondano sul comune presupposto per cui la Corte territoriale avrebbe ritenuto integrato il dolo specifico del reato di intestazione fittizia in quanto il Mazzara avrebbe agito al fine di evitare gli effetti delle misure interdittive conseguite alla sua precedente condanna per il reato di favoreggiamento aggravato. L’assunto da cui muovono le doglianze difensive è in realtà destituito di fondamento. Il provvedimento impugnato si è infatti sul punto limitato a replicare ad una obiezione della difesa peraltro ritenuta inammissibile perché tardivamente proposta, ma in realtà non hanno fatto riferimento esclusivamente alla citata condanna, bensì anche all’occulta partecipazione nell’impresa Nicosia Francesco & Vincenzo s.n.c., evidenziando come in proposito non rilevi che in riferimento alla medesima (iniziata dopo la condanna per il favoreggiamento aggravato) non sia stata esercitata l’azione penale per il reato di intestazione fittizia evocando in tal senso l’autonomia del procedimento di prevenzione, nonchè alla costituzione della società Antopia, intestata alla moglie e ad Agosta Antonella. Infine, hanno evocato le informative prefettizie sul tentativo di infiltrazione mafiosa in società riconducibili al proposto ed ai provvedimenti con i quali alle stesse sono state negate le certificazioni antimafia. Non è dunque vero che la Corte ha disconosciuto l’intenzione di eludere potenziali interventi ablativi di prevenzione, riconoscendo solo quello di aggirare le interdizioni, ma ha anzi confutato l’obiezione per cui il Mazzara non avrebbe avuto ragione di temere l’applicazione di misure di prevenzione sulla base dell’articolata piattaforma cognitiva illustrata, giungendo dunque alla conclusione che anche il reato di intestazione fittizia di cui si è detto è stato commesso proprio perché tale applicazione il proposto voleva eludere. Non di meno i giudici del merito hanno altresì confutato l’ulteriore rilievo per cui la pregressa condanna per favoreggiamento non abbia costituito già elemento di allarme, evidenziando – in assoluta sintonia con l’insegnamento di questa Corte – come nemmeno possa invocarsi il disposto dell’art. 166 codice penale (atteso che si trattava di condanna a pena sospesa), posto che la stessa condanna non costituirebbe comunque l’unico elemento ai fini dell’applicazione della misura di prevenzione, venendo valutato congiuntamente ad altri elementi. Con tale articolato percorso motivazionale i ricorrenti non si sono sostanzialmente confrontati rivelando l’intrinseca genericità e manifesta infondatezza dei motivi in esame, concentrati come sono su quella che in definitiva non è la effettiva ratio della decisione impugnata. In conclusione sul punto e per mero desiderio di completezza va altresì evidenziato come in ogni caso il terzo motivo sarebbe manifestamente infondato…, inammissibile è poi l’ulteriore rilievo contenuto nel secondo motivo di ricorso e relativo all’omessa considerazione delle acquisizioni di altri beni che il Mazzara avrebbe effettuato contestualmente alle fittizie intestazioni dei cespiti attenzionati nel procedimento penale a suo carico. Infatti quello che i ricorrenti prospettano è un vero e proprio vizio di motivazione, notoriamente indeducibile in questa sede in materia di misure di prevenzione, e ciò a tacere del fatto che quello tratteggiato è un mero paralogismo, privo, come si è visto, di una effettiva base fattuale. Ad identiche conclusioni deve infine pervenirsi con riguardo alle censure proposte con il quarto motivo, con le quali analogamente vengono prospettati in realtà meri vizi di motivazione del provvedimento impugnato a nulla rilevando, ovviamente, che i ricorrenti abbiano evocato quello della violazione di legge denunciando la mera apparenza della motivazione. In tal senso deve dunque ribadirsi che non può essere proposta come vizio di motivazione mancante o apparente, come tale refluente in violazione di legge, la deduzione di sottovalutazione di argomenti difensivi in realtà presi in considerazione dal giudice o comunque assorbiti dalle argomentazioni poste a fondamento del provvedimento impugnato. Anche i motivi quinto e sesto devono ritenersi inammissibili in quanto prospettano meri vizi di motivazione del provvedimento impugnato. Infatti i giudici del merito hanno sottolineato come il Mazzara nelle domande teste ad ottenere i contributi abbia falsamente e ripetutamente attestato di non essere sottoposto alle misure……, a partire da un determinato anno, di essere nel godimento di tutti i terreni oggetto delle suddette domande, quando invece alcuni era stato concessi in comodato alla moglie. Non è poi vero che la Corte abbia limitato l’ambito di consumazione del reato alle annualità successive al 2006, avendo invece precisato come il primo mendacio riguardi anche le annualità precedenti a partire dal 1999. Che poi il secondo sia frutto di un mero errore è una mera valutazione di fatto che non può fare ingresso in questa sede……la Corte ha ampiamente evidenziato come la condanna per il favoreggiamento aggravato non costituisca l’unico elemento valutabile a tal fine, mentre la difesa comunque non tiene conto dell’elevato valore sintomatico del riconoscimento dell’aggravante. Quanto all’attualità delle forme di pericolosità ritenute dalla Corte, parimenti generico è il nono motivo, atteso che anche tale profilo è stato esaustivamente trattato con motivazione non apparente nel provvedimento impugnato. L’ottavo motivo è infondato e nuovamente generico.

Venendo agli altri ricorsi – che si articolano, invece, in unico motivo – certamente inammissibili sono quelli proposti da Nicosia Vincenzo, Adragna Salvatore, Valenti Rosa Maria e Adragna Francesco quali terzi interessati——————

Nel resto i ricorsi di Mazzara Michele e Barone Giuseppa devono essere rigettati, mentre, sempre nel resto, gli altri ricorsi devono essere dichiarati inammissibili.

Così deciso il 29/9/2020