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100 anni di comunismo

di Fabio Pace

21 gennaio 1921. Una data che ha segnato la storia Italiana e la storia dei movimenti operai e popolari nel nostro Paese e in Europa. È la data della nascita del Partito Comunista d’Italia, per scissione dal Partito Socialista Italiano durante il XVII congresso che si tenne al teatro Goldoni di Livorno. Una assemblea dai toni aspri, drammatici, tumultuosi che vide contrapposte le anime della sinistra italiana: quella riformista, con solido riferimento in Filippo Turati, quella massimalista di Giacinto Menotti Serrati e quella rivoluzionaria animata da un gruppo di giovani dirigenti: Amedeo Bordiga, Antonio Gramsci e Umberto Terracini. Sintetizziamo per esigenze di tempo ma il congresso vide il confronto oltre alle tre grandi correnti anche due gruppi minori. Il congresso, che si svolse al termine dei disordini del cosiddetto biennio rosso, ebbe fin da subito un respiro internazionale proprio per le pressioni della Internazionale Comunista, cui il PSI aveva aderito, che intendeva espellere l’ala riformista dalle sue fila. La maggioranza del Partito Socialista, riformisti, massimalisti e altri gruppi organizzati rigettarono la richiesta del Comintern. I comunisti di Bordiga, Gramsci, e Terracini e di altri importanti dirigenti abbandonarono i lavori e diedero vita al partito Partito Comunista d’Italia, rispondendo in qualche modo alla domanda di Lenin che all’epoca da oltre tre lustri interrogava in tutta Europa socialisti e comunisti: Che fare?

Il Partito Comunista d’Italia, messo al bando durante il fascismo diverrà nel 1943 il PCI. Centrale il ruolo del PCI sia nel Comitato di Liberazione Nazionale, sia nella lotta partigiana. Al PCI facevano capo le brigate Garibaldi, le meglio armate e più attive nel contrasto al nazifascismo costituirono il 60% delle formazioni partigiane. Il PCI ha segnato la storia italiana, il costume e la cultura proponendo, pur dall’opposizione una visione di società moderna e avanzata. Dal PCI, dalla sinistra italiana e progressista nascono le grandi riforme che hanno cambiato l’Italia: lo statuto dei lavoratori, il nuovo diritto di famiglia, la legge sul divorzio, la legge sull’aborto. Il PCI si è progressivamente sganciato dell’immobilismo del comunismo sovietico e del blocco dei paesi comunisti di oltre cortina affermandosi, con autonomia, come il più grande partito comunista d’occidente e segnando la strada di quello che fu chiamato eurocomunismo che vide nella figura del segretario Enrico Berlinguer il massimo esponente.

Nella storia sia del Partito Comunista d’Italia che del PCI non va mai dimenticato il ruolo del sindacato e della CGIL. Si può tranquillamente affermare che, in particolare nell’Italia del dopoguerra, il sindacato ha avuto per lunghi anni un elemento costante: il Partito Comunista Italiano. Sia chiaro: ciò non significa che non ci fossero contraddizioni tra PCI e sindacato. Anzi la storia di queste contraddizioni è ricca ed istruttiva e talvolta obbliga a rivedere il partito come “cinghia di trasmissione” del sindacato. Tutti gli anni 70 vedono il PCI spesso “a destra” del sindacato, in particolare della FLM, il sindacato dei metalmeccanici, le cosiddette tute blu; ma, in ultima analisi, l’azione sindacale di classe poteva contare su un PCI che la sosteneva in sede politica.

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