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martedì, Marzo 19, 2024
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San Vito Lo Capo, il (tesoro del) santuario Negato

di Ninni Ravazza

La memoria è un dono del Cielo e io intendo farne uso fin quando lo stesso Cielo non me ne priverà (accadrà, prima o poi). Non ho dimenticato i miei reiterati tentativi di rendere fruibile al culto, all’ammirazione e allo studio la bellissima Madonna del Secco, opera rinascimentale (metà XVI secolo) già ospitata nella cappella della tonnara e oggi conservata nel Museo del Santuario di San Vito lo Capo e assolutamente non fruibile perché i locali ove è allocata (assieme ad altri pregevoli esempi di arte sacra e popolare) sono sempre chiusi. Dopo aver cercato inutilmente di sollecitare su FB l’interesse delle gerarchie ecclesiastiche (dal parroco a salire) ho scritto direttamente al Vescovo di Trapani Mons. Pietro Maria Fragnelli, contattato tramite l’addetto stampa della Curia. Il Capo della chiesa trapanese ha incaricato della risposta don Pietro Messana, già parroco di San Vito lo Capo e attuale direttore dell’ufficio diocesano per i beni culturali ecclesiastici ed edilizia di culto, persona di grande cultura e autore di pregevoli scritti sul Santuario di Santo Vito. Nella mia scarsa competenza da non credente, ritengo che le risposte contengano alcune imprecisioni, e per questo mi permetto di sottoporre al Vescovo Fragnelli e a don Messana alcune mie osservazioni, con due fondamentali premesse:

1 Il mio desiderio, e quello di tanti abitanti di San Vito da me contattati, è solo che la Madonna rinascimentale sia esposta al culto e all’ammirazione, sia insomma fruibile da tutti, occasione anche di turismo religioso e culturale;

2 Le fonti a cui ho attinto per formulare le osservazioni sono di assoluta credibilità: il volume “Il Tesoro del Santuario di San Vito lo Capo” opera collettanea curata tra gli altri dallo stesso don Messana; il volume collettaneo “Memoria e futuro. Un antico santuario accoglie l’arte contemporanea” a cura di don Messana; la pubblicazione “Il Santuario di San Vito Martire” di Enzo Battaglia genius loci sanvitese; i Diari autografi della famiglia Plaja proprietaria fino al 1999 della tonnara del Secco; le testimonianze orali di diversi componenti della stessa famiglia Plaja; la pubblicazione “Breve Relatione del famoso Tempio di Santo Vito” del Reverendo Vito Carvini (anno 1687) inserita nel volume “Il Tesoro …” citato.

A seguire pubblico la mia lettera al Vescovo, la risposta di don Pietro Messana, le mie “osservazioni”.

La mia nota indirizzata al vescovo Mons. Fragnelli:

“Eccellenza, nel museo della chiesa di San Vito è conservata la Madonna del Secco, opera 500sca di ignoto, trafugata dalla cappella della tonnara del Secco e ritrovata tra i campi, restaurata anche con i fondi della chiesa. Purtroppo il museo è quasi sempre chiuso, per mancanza di personale o altro … ed è un vero peccato perché conserva opere pregevoli, in grado di attirare turisti e studiosi. Perché non esporre la Madonna rinascimentale in chiesa, aperta alla fruizione pubblica? Se non lo si vuole fare, che si spieghino i motivi. Meglio sarebbe allora restituirla ai nuovi proprietari della tonnara che ne farebbero motivo di vanto e richiamo internazionale”.

La risposta di Don Piero Messana,

Direttore dell’ufficio diocesano per i beni culturali ecclesiastici ed edilizia di culto (contrassegnati da lettere i passi su cui formulo le osservazioni):

“Già lo scorso inverno, con l’Amministrazione Comunale (con il Sindaco Giuseppe Peraino e con l’Assessore Nino Ciulla ) sempre sensibile a questi temi, ci eravamo intesi per rendere possibile l’apertura del Museo del Santuario con orari certi e prolungati. Questi spazi,  come sa bene, non sono un vero e proprio museo, ma sono costituiti dagli stessi locali del Santuario in cui l’organizzazione delle opere non ha come fine l’esposizione di una collezione di manufatti in relazione alla loro valenza estetica, bensì uno più ampia e pastorale: la conservazione della memoria di ciò che questo straordinario luogo di fede ha prodotto nel corso dei secoli (A). Purtroppo l’emergenza Covid-19 non ha permesso l’attivazione della fruizione auspicata da tutti coloro che amano coltivare la memoria per ritrovare identità e ‘pensare’ il futuro (B).
Circa l’origine del manufatto ligneo oggetto della sua domanda (come può riscontrare nelle opere di divulgazione delle architetture e delle opere del Santuario) è bene ricordare che l’opera era di pertinenza della Chiesa e che fu portata nella cappella della Tonnara nella prima metà del ‘900 (C) perché il Signorino Giovannino La Porta (D), devotissimo, voleva che ogni domenica, nei mesi in cui la tonnara era in attività, tutti i lavoratori osservassero il precetto festivo. Quando si profilò la vendita della Tonnara, ormai semidiruta, la Famiglia Plaia volle che la statua fosse restituita (usarono proprio questo termine con chi scrive, alla fine degli anni ’80) alla Chiesa dalla quale proveniva (E). L’opera fu proditoriamente asportata dai ladri prima che potessimo prelevarla e da essi abbandonata, probabilmente perché si erano resi conto dell’insignificante interesse venale dell’opera, nella pietrosa e impraticabile piana che circonda la Tonnara. Ritrovata casualmente nel 1995, fu portata in chiesa (F). La statua si presentava di nessun valore artistico e in pessime condizioni di conservazione; niente faceva intuire ciò che si celava dietro numerosi interventi di pittura a smalto. Il suo tessuto ligneo, inoltre, era estremamente friabile a causa della devastante azione dei tarli, e spugnoso, per l’acqua imbibita dopo la lunga esposizione dell’opera alle intemperie. Solo le fortunate intuizioni di chi si occupò, su incarico della Parrocchia, del consolidamento della statua, portarono a “scoprire” l’antico manufatto, sotto i numerosi strati di ridipintura.
Circa la collocazione in Chiesa da lei suggerita, la vigente disciplina liturgica impedisce l’esposizione al culto di uguali soggetti iconografici e  l’Immagine dell’Immacolata già esposta in chiesa è la più venerata dai sanvitesi e dai turisti (G). Auspico che con la fine della pandemia, tutti i locali del Santuario, e con essi l’opera da lei segnalata, possano essere fruiti da paesani e turisti, perché la memoria ivi custodita possa “raccontare” la splendida storia di cui le architetture ‘devote e forti’ del Santuario sono portatrici.”


Le osservazioni alla lettera di Don Piero Messana

Ecco, infine, le mie modeste osservazioni, ribadendo che il fine ultimo di questa (spero) garbata polemica è solo quello di regalare alla fruizione pubblica la “Madonna del Secco”:

A) È vero che non si tratta di un vero e proprio “Museo”, ma tale termine viene impiegato usualmente e in maniera ricorrente nei due volumi curati da don Piero Messana citati in premessa, nonché nella targa (ormai fatiscente) posta all’ingresso del “Museo”;

B) Nel corso della scorsa estate la vita pubblica non ha subito alcuna restrizione, e altri luoghi ove si conserva la memoria (vedi il Museo Torre di Ligny a Trapani) sono stati regolarmente aperti alla fruizione di turisti e studiosi; analogamente è stata aperta e funzionante la Chiesa – Santuario;

C) Non risulta allo scrivente che la Madonna rinascimentale sia stata mai di pertinenza della Chiesa e sia stata “prestata” alla Tonnara a metà ‘900 su richiesta del devotissimo Giovannino Plaja (che per un lapsus nella risposta viene chiamato La Porta): io personalmente ho letto i Diari della tonnara che vanno dal 1912 al 1970, redatti quasi integralmente da Giovannino Plaja, e in nessuna parte si fa riferimento alla cessione della Madonna da parte della Chiesa; il patriarca della famiglia, Ettore Plaja, oggi centenario con l’intelligenza e la memoria vivide di un giovanotto, non ricorda di alcuna cessione e anzi ricorda di avere visto sempre, dalla sua nascita avvenuta nel 1921, la Madonna nella cappella della tonnara; don Vito Carvini nel 1687 descrive la Chiesa e le opere in essa conservate: ci sono la statua marmorea di San Vito del Gagini, gli stucchi di Orazio Ferraro, e basta, nessun accenno alla Madonna lignea che era stata realizzata almeno 100 anni prima. Nelle due opere curate da don Messana si accenna alla pertinenza della statua in capo al Santuario ma: ne “Il tesoro …” citato (anno 2011) Pietro Messana nel suo saggio “La Chiesa di san Vito devotissima e forte” accenna a “L’Immacolata antica opera lignea del Santuario” (pag. 48) rimandando alla nota 7 la fonte della notizia; tale nota cita “Vitella pp. 53-55” ma in bibliografia non è riportata alcuna pubblicazione di Vitella; in mancanza di più precise indicazioni si deve ritenere che trattasi di Maurizio Vitella il quale nel già citato volume “Memoria e futuro. Un antico santuario …” a cura di don Messana (anno 2005), alle pagine 53-55 scrivendo della Madonna rinascimentale la definisce “patrimonio della parrocchia” citando alla nota 3 la fonte da cui attinge: “Notizie fornite dall’Arciprete don Pietro Messana …”, che dunque a supporto della propria affermazione cita un autore che a sua volta cita lui quale fonte. Nessun testo sul santuario precedente al 1995, anno di ritrovamento della Madonna, accenna alla Immacolata lignea.

D) Del lapsus La Porta – Plaja ho già detto.

E) Non risulta, attingendo ai ricordi di Ettore Plaja e a quelli di tanti altri componenti la famiglia, né tantomeno a documenti ufficiali, che la statua dell’Immacolata sia stata offerta alla Chiesa di San Vito al momento dell’abbandono dei fabbricati della tonnara, ma non è da escludere che il contatto con qualche discendente di Giovannino e Giuseppe Plaja ci possa essere stato come asserisce don Messana che è persona colta e degna di fede, E COMUNQUE QUESTO NON E’ UN PROBLEMA PERCHE’ TUTTI DESIDERANO CHE LA STATUA ABBIA LA SUA DEGNA COLLOCAZIONE, E QUESTA E’ CERTAMENTE IL SANTUARIO.

F) Quando la statua dell’Immacolata venne fortuitamente ritrovata tra i campi non fu consegnata alla Chiesa ma ai ragazzi dell’Associazione culturale Kalos, che disposero un primo restauro; quando appresero che si trattava probabilmente di un’opera di grande valore storico e artistico e che il restauro avrebbe richiesto fondi di cui non disponevano, la consegnarono alla Chiesa, e don Pietro Messana con intelligenza e acume provvide al definitivo e straordinario restauro dell’opera, con i fondi del Santuario.

G) Non conosco la disciplina liturgica in merito al divieto di esporre due medesimi soggetti iconografici  nella stessa chiesa ma mi piace sottolineare che: all’interno del Santuario attualmente ci sono almeno tre Madonne, tutte di tale minimo valore artistico e storico da non essere menzionate né rappresentate iconograficamente nei ponderosi e validi volumi curati da Pietro Messana. A una Madonna di Custonaci vengono riservate pochissime righe per dire che “è copia ottocentesca dell’originale del XVI secolo custodito all’interno del Santuario di Custonaci” (Silvia Scarpulla in “Il tesoro …”); una Madonna addolorata e una Madonna Immacolata sono realizzazioni della ditta contemporanea Miccichè di Palermo specializzata in arte sacra (ad esse non viene dedicato nemmeno un rigo). Secondo la disciplina liturgica evocata da don Messana la presenza in chiesa di “questa” Immacolata di fine Novecento impedisce la collocazione in chiesa dell’altra rinascimentale.

Fin qui la storia della Madonna del Secco negata agli occhi dei fedeli e degli studiosi; taccio della inaccessibilità della chiesa ipogea dell’alto medioevo scoperta nel corso dei lavori di restauro nel 2002, altro possibile richiamo di turismo religioso e colto sottratto alla fruizione (ma qui forse c’entra proprio il Covid e il divieto di assembramento in uno spazio angusto qual è la cavità sotterranea).

Al Vescovo Fragnelli e all’Arciprete Messana rivolgo un appello, a nome di credenti e non credenti: rendiate fruibile, visibile, adorabile, studiabile, la Madonna del Secco, nella vostra/nostra Chiesa, luogo deputato ad ospitarla. Fate sì che la Chiesa sia di tutti, di chi crede e di chi non crede ma ha rispetto per la storia, l’arte, le cose belle e il sentimento religioso degli altri.

Ninni Ravazza, umile estimatore del paese di San Vito lo Capo e dei suoi “tesori”.

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