Non poteva mancare nella relazione della Commissione Antimafia all’ARS un capitolo dedicato all’ex Presidente delle Misure di Prevenzione del Tribunale di Palermo. Sia per il ruolo sia per il clamore della sua vicenda che l’ha portata ad essere radiata dalla magistratura. Le 4 pagine dedicate alla Saguto cominciano con un “grido d’allarme” lanciato dall’ex giudice nel novembre 2013 tramite il giornalista Salvo Palazzolo che descrive il clima che vi sarebbe stato attorno al suo Ufficio: “teste di capretto, pedinamenti, strani furti: da qualche mese, gli amministratori giudiziari e i magistrati delle misure di prevenzione sono al centro di un’escalation di minacce.” L’articolo si domanda “perché Cosa nostra sembra aver alzato il tiro contro chi amministra le aziende sequestrate ai boss” rispondendosi che “negli ultimi mesi il Tribunale avrebbe messo alla porta un centinaio di prestanome che lavoravano nelle aziende sequestrate. Da allora, le minacce hanno avuto un brusco incremento”; “È utile precisare – prosegue la relazione – che ci riferiamo a un tempo in cui il suo ufficio – da sempre uno dei più attivigodeva di una straordinaria popolarità. Prova di ciò è il parere rilasciato dal Consiglio giudiziario di Palermo all’atto di riconfermare la Saguto: “È ormai uno degli incrollabili punti di riferimento per l’azione giudiziaria riguardante la criminalità – specie mafiosa – del Distretto di Corte di appello”. Insomma, un’altra dei tanti campioni dell’Antimafia che le indagini, poi, avrebbero dimostrato quanto lucroso fosse questo mondo. Ma il passaggio da esempio virtuoso a caso giudiziario è breve. A maggio del 2015, le Iene mandano un servizio in cui vengono manifestate forti perplessità sulla gestione delle nomine degli amministratori da parte della Saguto, con particolare riferimento agli incarichi all’avvocato Gaetano Cappellano Seminara. Quattro mesi più tardi la Procura di Caltanissetta notifica un avviso di garanzia alla Presidente per il compimento di atti istruttori “in ordine a fatti di corruzione, induzione, abuso d’ufficio, nonchè sull’applicazione delle norme relative alla gestione dei patrimoni sottoposti a sequestro di prevenzione”. E’ importante rileggere le dichiarazioni di Cristina Lucchini, uno dei PM che ha curato le indagini, dinanzi all’Antimafia nazionale quando punta la lente d’ingrandimento sulla “procedura Rappa” dove, a

seguito della trasmissione degli atti dalla procura di Palermo, non solo si è proseguita l’attività di intercettazione sulle utenze già monitorate ma l’atto di indagine più utile per l’accertamento dei fatti è stato l’attivazione di intercettazione ambientale nell’ufficio della Saguto che ha consentito di cogliere una serie di dialoghi tra la stessa e alcuni amministratori giudiziari che accertavano due rapporti corruttivi fondamentali: uno tra la Presidente e Cappellano Seminara e un altro con il coadiutore Carmelo Provenzano. Il gravissimo quadro accusatorio, lo prospetta il sostituto Maurizio Bonaccorso nel corso della requisitoria dibattimentale: “Questo è semplicemente un processo a carico di pubblici ufficiali che hanno tradito la loro funzione per il perseguimento di interessi privati. Mi riferisco a magistrati, ufficiali di polizia giudiziaria, amministratori e coadiutori che hanno strumentalizzato il loro ruolo che era indispensabile per il contrasto alla criminalità organizzata, per conseguire le utilità” più svariate economicamente. Amen all’ennesima campione dell’Antimafia.

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CAPITOLO INTEGRALE DALLA RELAZIONE ANTIMAFIA

IL CASO SAGUTO: UN UNICUM O PATOLOGIA DI UN SISTEMA?

Omnia tempus habent. Novembre 2013: la dottoressa Silvana Saguto lancia un preoccupato grido d’allarme sulla condizione di pericolo in cui versano sia la sezione da lei presieduta, quella delle misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, che alcuni amministratori giudiziari impegnati in delicate procedure di sequestro. Uno scenario che il giornalista Salvo Palazzolo descrive così in un suo pezzo:

“Teste di capretto, telefonate anonime, pedinamenti, strani furti e rapine: da qualche mese, gli amministratori giudiziari e i magistrati del tribunale misure di prevenzione di Palermo sono al centro di un’escalation di minacce. Il presidente della sezione, il giudice Silvana Saguto, ha preparato un dossier, finito all’ attenzione del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza, della Procura generale e della Corte d’appello. Perché Cosa nostra sembra aver alzato il tiro contro chi amministra i beni e le aziende sequestrate e confiscate ai boss. Ma perché proprio adesso? Nel dossier presentato al Comitato per l’ordine e la sicurezza si spiega che negli ultimi mesi il Tribunale ha messo alla porta un centinaio di prestanome e di impiegati che lavoravano nelle aziende sequestrate. Da allora, le minacce hanno avuto un brusco incremento, tanto da far scattare il rafforzamento della scorta per il presidente Saguto e la tutela al giudice Fabio Licata.”

È utile precisare che ci riferiamo a un tempo in cui l’ufficio retto dalla Saguto – da sempre uno dei più attivi per numero di misure ablatorie trattate – godeva di una straordinaria popolarità (e non solo in ambito istituzionale), indicato come un modello vincente da seguire e da replicare anche negli altri distretti giudiziari italiani. Prova di ciò è il contenuto del parere rilasciato dal Consiglio giudiziario di Palermo all’atto di riconfermare la Saguto alla guida della sezione: “È ormai uno degli incrollabili punti di riferimento per l’azione giudiziaria riguardante la criminalità – specie mafiosa – del Distretto di Corte di appello di Palermo, esempio indiscusso per tutti i colleghi, non solo del Tribunale”. Ma il passaggio da esempio virtuoso a caso giudiziario è breve. A maggio del 2015, la trasmissione televisiva Le Iene manda in onda un servizio in cui vengono manifestate forti perplessità sulle dinamiche che animano la gestione delle nomine degli amministratori da parte della presidente Saguto, con particolare riferimento alla mole di incarichi da lei affidati all’avvocato Gaetano Cappellano Seminara. Quattro mesi più tardi, il 9 settembre 2015, la Procura di Caltanissetta notifica un avviso di garanzia alla dottoressa Saguto, al fine di procedere al compimento di atti istruttori volti ad acquisire, così riportato in una nota diffusa alla stampa, “elementi di riscontro in ordine a fatti di corruzione, induzione, abuso d’ufficio, nonché delitti a questi strumentalmente o finalisticamente connessi, compiuti dalla Presidente della Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Palermo nell’applicazione delle norme relative alla gestione dei patrimoni sottoposti a sequestro di prevenzione, con il concorso di amministratori giudiziari e di propri familiari”. Sulle origini dell’inchiesta – che progressivamente vede aumentare il numero dei soggetti coinvolti – è importante rileggere le dichiarazioni rese dalla dottoressa Cristina Lucchini, uno dei pubblici ministeri che ha curato le indagini, dinanzi la Commissione Parlamentare Antimafia nazionale il 14 giugno 2017:

LUCCHINI, sostituto procuratore: Si dice che l’essenza di una cosa sia la sua origine. L’origine è una serie di accertamenti su una procedura, la procedura Rappa, che erano stati intrapresi dalla Procura di Palermo. Immediatamente, a seguito della trasmissione degli atti dalla procura di Palermo, non solo si è proseguita l’attività di intercettazione telefonica sulle utenze già monitorate ma l’atto di indagine più utile per l’accertamento dei fatti è stato l’attivazione di un’attività di intercettazione ambientale all’interno dell’ufficio della dottoressa Saguto presso il Tribunale di Palermo. Quest’attività di intercettazione ambientale ha consentito di cogliere una serie di dialoghi tra la stessa dottoressa Saguto e alcuni amministratori giudiziari e coadiutori giudiziari che sono stati il punto di partenza per accertamenti successivi… […] È stata accertata l’esistenza di due rapporti corruttivi fondamentali, uno tra Silvana Saguto e l’avvocato Cappellano Seminara, che era amministratore giudiziario di diverse procedure, e un altro tra Silvana Saguto e un coadiutore, Carmelo Provenzano, che, però, aveva le velleità e i comportamenti dell’amministratore giudiziario.”

Quanto fosse grave (e perfino imbarazzante, proprio in ragione delle funzioni ricoperte dai protagonisti della vicenda) il quadro accusatorio prospettato dalla Procura di Caltanissetta, è rappresentato a chiare lettere dal sostituto procuratore Maurizio Bonaccorso nel corso della sua requisitoria dibattimentale:

“Questo nella sua complessità è semplicemente un processo a carico di pubblici ufficiali che hanno piegato e tradito la loro funzione pubblica per il perseguimento di interessi privati, mi riferisco a magistrati, ufficiali di polizia giudiziaria, amministratori giudiziari e coadiutori giudiziari che hanno strumentalizzato il loro ruolo delicato e importante in una terra martoriata come la Sicilia, ruolo che era indispensabile per il contrasto alla criminalità organizzata, per conseguire le utilità le più varie utilità economicamente valutabili. Le risultanze investigative che poi si sono tradotte in risultanze dibattimentali e quindi prove hanno permesso di fare luce, di mettere a fuoco, un sistema perverso e paradossalmente tentacolare creato e gestito dalla dottoressa Saguto che ha sfruttato e mortificato quello che era il suo ruolo come magistrato in un ufficio prestigioso come la sezione misure prevenzione di Palermo… Ci troviamo in presenza di pubblici ufficiali che oltre a ledere gli interessi giuridici tutelati dalla norme incriminatrici violate hanno recato un danno irreparabile e incolmabile all’immagine dell’amministrazione della giustizia. (…) È a mio modo di vedere un errore strategico… ipotizzare che siccome io ho fatto antimafia ho una sorta di licenza di uccidere, di licenza di delinquere… Si è trasformato l’ufficio di misure di prevenzione in un ufficio di collocamento. Gli amministratori giudiziari hanno svolto un’attività predatoria ai danni dei patrimoni che sono stati sottoposti a sequestro contrariamente a quella che era la loro funzione: quella di salvaguardia di questi patrimoni.”

Come è noto, il 28 ottobre 2020 Silvana Saguto è stata condannata in primo a grado a 8 anni e 6 mesi di carcere. L’anno prima, il 29 ottobre 2019, le Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione avevano confermato definitivamente la sua rimozione dall’ordine giudiziario. Pesanti condanne sono state inflitte anche a molti degli altri imputati. Fin qui, dunque, la cronaca giudiziaria. Questa Commissione, a prescindere da quali saranno le evoluzioni processuali del cosiddetto caso Saguto, non può esimersi dall’approfondire taluni quesiti che nascono, in primo luogo, proprio dalle dichiarazioni rilasciate dall’ex magistrato Saguto nel corso del suo esame dibattimentale:

DOTT.SSA SAGUTO: “Tutti noi Giudici avevamo una scatoletta, dove c’erano tutti i bigliettini dei vari amministratori, che si proponevano o che venivano proposti. Io li ho ritrovati (…) Su ogni bigliettino, per quasi tutti c’è scritto chi me li ha segnalati, perché venire e dire io vorrei fare misure di prevenzione da parte di un dottore o un avvocato, evidentemente non può bastare, neanche il curriculum può bastare. Mi è stato chiesto da un giornalista: “ma non ci poteva essere un criterio più oggettivo?”, dico, “se lei lo trova me lo suggerisca, perché lo cerchiamo tutti”. Io credo che tutti noi nominiamo periti, consulenti o quant’altro, li nominiamo sulla base della fiducia, non certo sulla base di un elenco…”

Quanto di quel modus operandi (la “scatoletta” con i bigliettini, le sponsorizzazioni dei colleghi…) permane ancora? L’attuale impianto normativo – che ha recepito nel suo corpo una sorta di “norma Saguto” – è in grado concretamente di arginare possibili derive personalistiche o, per meglio dire, proprietarie nella nomina degli amministratori giudiziari? In che termini, oggi, vengono efficacemente garantiti e rispettati i princìpi di trasparenza e rotazione degli incarichi? Esistono indici di performance per monitorare il rendimento dell’amministratore giudiziario con riferimento alla specifica misura? Che tipo di verifiche vengono fatte sulle dichiarazioni degli amministratori giudiziari? Quali strumenti hanno a disposizione i giudici per valutare quelle che in gergo aziendale vengono definite le skills, ossia le competenze, dei professionisti incaricati? Vi è un controllo di merito da parte del giudice delegato sulle modalità di gestione dell’incarico da parte dell’amministratore giudiziario? Ed ancora, secondo quali criteri vengono calcolati e liquidati i compensi degli amministratori giudiziari? In che cosa consiste l’attività di supporto posta in essere dall’Agenzia e in che modo quest’ultima interagisce concretamente con l’Autorità Giudiziaria? In questa relazione proveremo ad offrire una risposta a ciascuna di queste domande. Partendo, intanto, da una lettura attenta della cronaca più recente che conferma la persistenza di preoccupati distorsioni afferenti l’attuale sistema dell’amministrazione giudiziaria dei beni.