È morto Papa Francesco. E con lui si chiude una pagina che ha segnato profondamente non solo la Chiesa universale, ma anche il cuore della Sicilia.
Un pontefice che ha guardato al Sud non come periferia da compatire, ma come culla di resistenza evangelica, terra di martiri laici e consacrati, luogo in cui la fede si fa carne tra le pieghe del dolore e della speranza.Il suo legame con l’Isola è stato saldo e profondo. Indimenticabile il giorno in cui, il 26 maggio 2013, ricordò don Pino Puglisi, il sacerdote di Brancaccio ucciso dalla mafia.
«Don Puglisi è stato un sacerdote esemplare, dedito specialmente alla pastorale giovanile. Educando i ragazzi secondo il Vangelo vissuto li sottraeva alla malavita e così questa ha cercato di sconfiggerlo uccidendolo. In realtà però è lui che ha vinto con Cristo risorto».
Parole pronunciate appena due mesi dopo l’inizio del suo pontificato, quasi a voler dire che quella Sicilia ferita era già parte del suo cuore.
Nel 2021 ha beatificato Rosario Livatino, il “giudice ragazzino” ucciso dalla Stidda. Non solo un magistrato integerrimo, ma un uomo che cercava giustizia senza perdere la misericordia. A lui, Francesco dedicò parole piene di tenerezza e fermezza: un esempio per chi amministra la giustizia senza piegarsi al compromesso o alla paura.
Ma non è solo nei gesti solenni che il Papa ha stretto la mano alla Sicilia. È stato nella coerenza delle sue parole, nei richiami severi e paterni contro la mafia. Come quando, nel dicembre scorso, parlando a un gruppo di studenti di teologia venuti da Catania, li esortò con forza.
«Studiate, pregate, ma soprattutto siate liberi dalla mentalità mafiosa. La mafia è l’opposto del Vangelo».
Ancora una volta, la voce di Francesco risuonava chiara tra le mura vaticane, ma il suo eco arrivava dritto ai vicoli delle città siciliane, ai banchi delle chiese, ai cuori dei giovani.
E poi c’è l’abbraccio con Fratel Biagio Conte, apostolo dei poveri, camminatore di Dio, anima di Palermo. Due uomini semplici, due profeti del nostro tempo, che si sono riconosciuti a vicenda. In quell’incontro c’era tutta la potenza del Vangelo vissuto: povero con i poveri, credente tra i cercatori d’infinito.
Papa Francesco lascia un’eredità viva, che in Sicilia trova radici profonde.
Ha mostrato che il coraggio della fede può parlare anche nei silenzi della paura, che la santità non è lontana, ma cresce tra le strade di Brancaccio, nelle aule dei tribunali, nei centri di accoglienza, negli occhi dei giovani che scelgono il bene.
La sua voce si spegne oggi, ma il suo messaggio continuerà a risuonare tra le pietre antiche dell’Isola e tra le nuove generazioni che, grazie anche a lui, hanno imparato che si può credere senza piegarsi.
Anche in Sicilia. Soprattutto in Sicilia.
Chiara Conticello