Ricorre oggi il 30esimo anniversario della strage di Capaci. Un giorno che richiama in tutti noi il dovere della memoria, una gioSono trascorsi 30 anni dalla strage di Capaci che insieme alla strage di via d’Amelio rappresenta il culmine della strategia stragista della mafia di Riina, Bagarella e Brusca, l’uomo che premette il telecomando che fece diventare l’autostrada A29 un inferno. Trent’anni fa i sicari di Cosa Nostra ammazzavano con 500 chili di tritolo giudici Giovanni Falcone e Francesca Morvillo con gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Il 23 maggio 1992 ha segnato uno spartiacque per il nostro Paese, e probabilmente oggi è lecito osservare quanto sia possibile parlare del fenomeno mafioso e sentirlo ripudiare pubblicamente in diversi contesti; la cultura della legalità è ormai diffusa e la condanna verso le dinamiche della criminalità appare incondizionata. Eppure c’è ancora tanto da fare; soprattutto nelle aule scolastiche, è lì che, prima ancora nelle caserme, nei commissariati, nelle procure e nei tribunali, che si sconfigge ogni forma di criminalità organizzata. La scuola come autentico portale verso il futuro e una società, si spera, migliore di quelle che hanno caratterizzato le generazioni precedenti. L’istruzione fondamentale non solo come ascensore sociale, ma anche come viatico per l’autodeterminazione di un pensiero libero, scevro dai condizionamenti di una mentalità feudale, retrograda, asservita al potente di turno. Conoscere e rivendicare i propri diritti, non arretrare davanti ai ricatti, contrastare clientelismi e scorciatoie, non assuefarsi all’inerzia, condividere progettualità e solidarietà costituiscono l’antidoto più efficace contro l’ignoranza e la prevaricazione, quindi contro la mafia.