Omicidio Stefani, condanna all’ergastolo per Vincenzo Caradonna

55
A sinistra la vittima, Angela Stefani. A destra il presunto omicida, Vincenzo Caradonna

Sentenza di primo grado per l’uomo accusato del delitto

La Corte d’Assise di Trapani, presieduta da Enzo Agate, ha condannato all’ergastolo il salemitano Vincenzo Caradonna, 48 anni, accusato dell’omicidio della compagna Angela Stefani, il cui cadavere non fu ritrovato. L’omicidio avvenne nel gennaio 2019 a Salemi. La Corte ha accolto la richiesta del pubblico ministero Antonella Trainito, escludendo che Caradonna fosse meritevole della concessione di alcuna attenuante, nonché ritenendo che l’imputato fosse capace di intendere e di volere.

Le indagini sono state condotte dai carabinieri della Compagnia di Mazara del Vallo e coordinate dal Procuratore capo di Marsala Vincenzo Pantaleo. Secondo gli inquirenti, che si sono avvalsi anche dei colleghi del Ris di Messina, Caradonna, uccise barbaramente la sua convivente tra le mura domestiche. Nella fase delle indagini, le analisi dei Ris sulla scena del crimine in relazione agli schizzi di sangue provocati dal movimento dell’arma del delitto, avevano stabilito che l’autore dei colpi inferti ad Angela Stefani non potesse che avere utilizzato la mano sinistra.  In sede di dibattimento è stato poi dimostrato che l’imputato fosse ambidestro e quindi capace di utilizzare tutte e due le mani con la stessa abilità.
Caradonna è stato, inoltre, condannato per il delitto di soppressione di cadavere del corpo di Angela Stefani. Le vane ricerche della donna, eseguite anche da cani molecolari e da sommozzatori,  hanno seguito un binario parallelo rispetto alle indagini di polizia che hanno evidenziato come il Caradonna, subito dopo l’omicidio della compagna avesse tentato di allontanare i sospetti da sè, anche inquinando la scena del crimine. Nell’abitazione, oltre ad evidenti tracce del delitto, è stata rilevata una consistente e grossolana attività di ripulitura di altre copiose tracce di sangue.

Il mancato  rinvenimento del corpo della vittima non ha dunque inficiato il quadro probatorio a carico dell’imputato, nei confronti del quale è arrivata la condanna di primo grado all’ergastolo.