di Mario Torrente
29 aprile 1990 – 29 aprile 2025. Sono passati 35 anni dall’affondamento dell’Espresso Trapani, una tragedia del mare che è rimasta impressa nella memoria della città. Ma il naufragio del traghetto della Conatir è stato anche uno degli incidenti marittimi più gravi avvenuti in Italia. In questo triste elenco c’è il disastro del Moby Prince nel 1991 (tra le 140 vittime c’erano anche cinque marittimi trapanesi) ed il naufragio della Costa Concordia nel 2012. Anche se avvenuto nell’oceano Atlantico, c’è poi l’affondamento nel 1952 dell’Andrea Doria, davvero tra i più noti nella storia della navigazione. Nella collisione con lo Stockholm, nel luglio del 1956, morirono 52 persone. Ma nelle tragedie del mare ci sono anche i naufragi di Lampedusa (368 vittime) e di Cutro (94 vittime), rispettivamente nel 2013 e 2023, per volere ricordare quelli più gravi. Ma l’elenco è dei migranti morti in mare mentre provavano a raggiungere l’Europa è molto più lungo.
Come lungo è l’elenco dei trapanesi che non hanno fatto più ritorno a casa mentre erano imbarcati su navi o pescherecci e che andrebbero ricordati in un monumento in ricordo delle vittime del mare che sia degno di una città legata da sempre al mare. Ma Trapani, però, non c’è un vero e proprio “luogo della memoria” che racconti le storie dei tanti marittimi, pescatori, uomini e donne, di ogni mestiere, nazionalità e colore della pelle, che il mare ha voluto per sempre con sé. E l’unico modo di tenerne viva la memoria è di raccontarne la storia. Ricordandone i nomi. Le navi ed i pescherecci dove erano imbarcati. Come l’Espresso Trapani, il Città di Trapani, il Moby Prince, il Maria Stella, il “Karol Wojtyla”, l’Agostino Padre”, il Ligny Secondo e così via andando a scorrere la lista degli incidenti marittimi che riguardano il territorio trapanese. Tante storie che potrebbero essere ricordate con un monumento in memoria di tutti i morti in mare. Magari, perchè no, collegato ad un Museo del mare che racconti anche i mestieri e le tradizioni marinare trapanesi. Le barche e gli strumenti di bordo. E tutto ciò che ha orbitato per secoli attorno a Trapani ed il mare.
Intanto oggi, per il 35esimo anniversario del naufragio dell’Espresso Trapani, saranno ricordate le persone che persero la vita nell’affondamento del grande traghetto della Conatir. E adesso, dopo decenni di silenzi e mancate commemorazioni, quanto meno c’è una strada che ricorda quei tredici morti, sette dei quali mai restituiti dal mare. Grazie all’intitolazione, disposta cinque anni addietro dall’amministrazione comunale di Trapani, di una via nei pressi del porto peschereccio in memoria delle vittime di quella terribile tragedia, è possibile quanto meno lasciare un fiore sotto una targa con scritto “Espresso Trapani”. Per chi vuole, facendo anche una preghiera. Ricordando così chi ha perso la vita in quella nave colato a picco a poche miglia da porto di Trapani. E stamattina, nella via vittime dell’Espresso Trapani, a partire dalle 9.30 si terrà una cerimonia in ricordo di chi non ha fatto più ritorno a casa.
Era il 29 aprile del 1990. L’Espresso Trapani era ormai prossimo ad arrivare in città dopo essere partito da Livorno ed avere navigato per tutto il mar Tirreno. A bordo c’erano 52 persone e 66 camion. La nave non viaggiava a pieno carico. E le condizioni meteo erano ottime, con mare calmo e visibilità ottima. Quando ormai erano imminenti le operazioni di ormeggio, il traghetto della Conatir si inclinò, affondando nel giro di pochi minuti. Portandosi negli abissi sette persone. I morti furono in tutto tredici, ma sette corpi non furono mai restituiti. Probabilmente rimasero intrappolati nel relitto della nave, affondata in un giorno di mare calmissimo. Mentre che a Trapani si festeggiava “Santu Patre”, patrono dei marittimi. Con la grande statua di San Francesco di Paola in processione per le vie della città. Ma quel giorno non ci fu festa. Solo lacrime e dolore per quelle vite spezzate.
Quel 29 aprile ha segnato un’intera città. Appena si seppe dell’affondamento dell’Espresso Trapani tutti i pescherecci uscirono per aiutare i soccorsi e cercare i dispersi. I superstiti furono 39. E nei loro racconti ci sono tutti i concitati minuti della disgrazia. Il panico. La lotta per la vita. I cadaveri visti galleggiare. La paura di non farcela. L’avere visto la morte con gli occhi. Pochi giorni dopo nel relitto scesero anche i sub per cercare i corpi che mancavano all’appello. Intervenne la Marina con un piccolo sottomarino. Ma non fu trovato nessuno dei sette dispersi. E tante domande su quel naufragio rimasero senza risposta.
Di sicuro c’è che fu la più grave tragedia del mare che si sia consumata davanti le coste trapanesi negli ultimi decenni. Una sciagura che, per molti aspetti, resta avvolta dal mistero. La nave, quasi arrivata a Trapani, dopo aver virato a sinistra per allinearsi all’imboccatura del porto, sbandò sul lato destro. Il grande traghetto, lungo ben 112 metri, si inclinò paurosamente a dritta. Fu vano ogni tentativo del comandante Bertolino di riportare in asse la nave. L’Espresso Trapani venne inghiottito dal mare nel giro di quindici minuti. Finendo ad oltre cento metri di profondità. Il tutto a circa un miglio dallo scoglio Porcelli. Proprio davanti la città.
La nave era praticamente quasi arrivata a destinazione. Da lì a breve il pilota sarebbe salito a bordo per iniziare le operazioni di ormeggio. Ma quel giorno non venne calata l’ancora. Nessuna cima fu lanciata in banchina per attraccare. Ed il portellone di poppa non si aprì per fare scendere camion, passeggeri ed equipaggio. È rimasto chiuso per sempre nella profondità degli abissi. Col suo carico di camion. E di vite. Quella nave così robusta di appena sette anni, costruita in Spagna e che navigò anche nelle acque tempestose del Nord Europa per una compagnia norvegese, colò a picco in una domenica di bonaccia senza un filo di vento ed il mare piatto come l’olio. Portandosi con sé, quasi sicuramente, i sette corpi dei dispersi, mai trovati. Tra loro il comandante Leonardo Bertolino, al suo ultimo viaggio prima della pensione, ed il direttore di macchina Gaspare Conticello. I due ufficiali più alti in grado dell’Espresso Trapani affondarono con la loro nave.
Oltre al comandante Leonardo Bertolino ed al direttore di macchina Gaspare Conticello, non furono mai recuperati anche i corpi di Ignazio Mauro, Claudio Merlino, Giovanni Maranzano, Antonino e Salvatore Mirabile. Sono rimasti per sempre nel grande “cimitero del mare”. A bordo c’era anche la moglie del comandante Bertolino, Rosa Adragna, anche lei nell’elenco delle tredici vittime di quella terribile sciagura assieme a Francesco Gianquinto, Giuseppe Fonte, Filippo Randazzo, Michele Caruso e Francesco Lombardo, che vennero però recuperati dal mare. Trovando degna sepoltura a terra.
Del resto, per dirla con le parole di padre Adragna, che partecipò anche ai momenti di commemorazione sul punto della tragedia con i parenti delle vittime fatti poche settimane dopo il naufragio, “Trapani ha due cimiteri: uno sulla terraferma, l’altro è il cimitero del mare”. E magari, prima o poi, in questa città marinara, che pulsa di salsedine fino al midollo, si riuscirà a realizzare un monumento con un vero e proprio luogo della memoria per ricordare chi è morto in mare, non facendo più ritorno a casa. Ma anche chi, con il proprio carico di speranze e sogni, non è riuscito ad approdare in Sicilia.
Oggi è dunque il giorno del ricordo. Per non dimenticare. Per tenere viva la memoria e ricordare che questa è una città di mare. Di marittimi, pescatori e gente con la salsedine nel sangue. E per ribadire che, nelle comunità marinare, il dolore di una famiglia che perde un proprio caro in mare appartiene ad un’intera comunità. Un tempo era così. Adesso un po’ meno. Ma anche questo rappresenta un patrimonio da preservare e tramandare. Ecco perchè a Trapani c’è bisogno di un luogo della memoria dedicato alle vittime del mare. E non solo.




Guarda il servizio andato in onda nel tg sulla commemorazione di oggi con l’intervista di Giancarlo Randazzo, che il 29 aprile del 1990 era a bordo dell’Espresso Trapani, riuscendo a salvarsi.
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