Non sono per nulla soddisfatti gli avvocati di Dario Safina dopo la decisione del Gip del tribunale di Trapani, Samuele Corso, di sostituire gli arresti domiciliari con la misura meno afflittiva dell’obbligo di dimora per il deputato regionale accusato di corruzione e turbativa d’asta. “Decisione ingiusta”, dicono Giuseppe Rando e Salvatore Longo che assistono l’indagato. “Abbiamo sempre sostenuto – puntualizzano i due legali – l’inesistenza di qualsivoglia ipotesi di reato contestata al nostro cliente e, di conseguenza, l’insussistenza di esigenze cautelari.”
Secondo la tesi della difesa, infatti, “l’indagine è pervasa da evidenti lacune istruttorie che sarebbero state evitate se fossero stati acquisiti tutti gli atti della complessa vicenda amministrativa che ha riguardato, negli anni, il rapporto tra il Comune di Trapani e la City green Light Srl”. E’ la società che, secondo l’accusa, Dario Safina avrebbe favorito in cambio di denaro utilizzato per iniziative a favore della città, ma con l’obiettivo di accrescere il proprio consenso elettorale. Ma non è tutto.
“Sotto altro profilo, – riprendono gli avvocati – anche a volere tacere sugli aspetti in punto di diritto, grande perplessità desta il percorso logico motivazionale seguito dal Gip con l’ordinanza di sostituzione della misura. Da una prima lettura – puntualizzano Rando e Longo – si sostiene in detta ordinanza che, addirittura, in tempi non sospetti e quando ancora l’ onorevole Safina neppure immaginava che il suo partito lo avrebbe candidato all’ARS, era ben conscio che nella sua città di origine avrebbe ottenuto poche preferenze”. “Attendiamo fiduciosi – concludono – l’esito del procedimento innanzi il Tribunale del Riesame la cui udienza è stata fissata per il prossimo due febbraio”.