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venerdì, Aprile 19, 2024
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La stampa ed il Senatore d’Alì

Dopo l'arresto di Matteo Messina Denaro e le polemiche per il legame con la famiglia dell'ex parlamentare, il presidente di Telesud, Massimo Marino, esprime alcune personali riflessioni sulla vicenda.

È terminato questo lungo, primo mese del 2023. Un anno che resterà nella storia per la cattura di Matteo Messina Denaro. Dopo 30 anni di latitanza, un momento attesissimo dai siciliani per tutto ciò che ha rappresentato agli occhi dell’opinione pubblica mondiale, va da sé, in negativo per la nostra terra. Delle polemiche su una sua presunta volontà di farsi arrestare hanno dibattuto tutte le testate nazionali. Non entro nel merito, ho già espresso il mio pensiero; tuttavia, oggi, voglio commentare – senza alcuna pretesa d’aver la verità in tasca – le critiche apparse sui social, e non solo, di tanti che hanno stigmatizzato la stampa locale sul poco risalto dato al fatto che la primula rossa sia stato preso appena un mese dopo la condanna definitiva del senatore d’Alì e la sua reclusione al carcere di Opera. Facendo match con i rapporti del padre con la famiglia dell’ex parlamentare, tanto da esserne campiere nei terreni di Contrada Zangara. Insomma, “questa coincidenza” andava evidenziata così da lasciar trapelare il sospetto che proprio l’assenza fisica di d’Alì dalle stanze avesse fatto saltare la copertura istituzionale del superlatitante. Sostanzialmente rilanciando le affermazioni della vedova dell’ex prefetto Sodano, qualche giorno dopo l’arresto. Premesso che ogni organo di stampa si è dato “un metro” legittimo e che, in questa circostanza, non parlo neanche per conto della redazione di questa testata che è stata libera, come sempre, di pubblicare ciò che ritenesse più opportuno sulla cattura di Messina Denaro, personalmente reputo tali suggestioni una sciocchezza. Ma preferisco argomentare meglio a scanso di equivoci. Che nel 1994, dopo “Mani Pulite”, Cosa Nostra abbia visto con favore la nascita di Forza Italia è un dato di fatto, processualmente accertato. Saltate le coperture politiche siciliane, ad iniziare dalla corrente andreottiana dell’isola, i boss cercarono nuovi referenti politici. Le carte processuali dicono che siano stati trovati anche fra gli azzurri e nel politico trapanese. Questo mi sembra abbastanza plausibile, visto i rapporti certamente “non distanti” fra le rispettive famiglie e immagino che in quegli anni nessuno dei due disdegnasse i rispettivi ruoli, l’uno collettore di voti, l’altro parlamentare della Repubblica. Che poi abbia potuto concretamente aiutarne la latitanza – se e in quali termini – è un altro paio di maniche. Ci sono migliaia di carte processuali al riguardo ed ognuno è libero di trarne la valutazione che reputa. Assai diverso è, invece, sostenere che l’arresto sia conseguenza della condanna definitiva – e quindi del carcere – dell’ex Senatore. Una tesi suffragata dal nulla. Chi ha criticato gratuitamente la stampa locale per questa “mancanza di cronaca” dovrebbe ricordare che Antonio d’Alì non riveste alcun ruolo istituzionale già dal marzo 2018. In quelle politiche, infatti, non venne ricandidato. O meglio, gli fu proposto la candidatura nel collegio uninominale, ritenuto perdente da tutti i sondaggi tanto ché, infatti, il centrodestra fu surclassato dallo tsunami grillino in tutto il meridione. Insomma, già allora era “talmente potente” da non riuscire neanche a farsi confermare uno strapuntino a Palazzo Madama nelle liste bloccate al plurinominale; tuttavia, restando così influente da poter addirittura “continuare a coprire” il suo sodale, si suppone manovrando Procure, Ros e servizi deviati vari. Surreale. Così la penso, ed in alcun modo queste poche righe vogliono apparire come “una difesa” di d’Alì. L’ha avuta in vari gradi di giudizio; e seppur con esiti alterni, una sentenza definitiva lo ha riconosciuto colpevole di “concorso esterno in associazione mafiosa”. La vicenda giudiziaria potrà anche essere ambigua, ma come tutti i pronunciamenti di un Tribunale della Repubblica va rispettata. I giudici hanno fatto i loro lavoro, la stampa il suo. Il resto sono chiacchiere e sterili allusioni che restano tali e soprattutto gratuite verso le redazioni locali che non sono certamente “obbligati” a riportare ogni dietrologia di sorta.

Massimo Marino
Presidente di Telesud 

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