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La città costruita dove c’erano le saline: il focus su Trapani e ambiente

Il viaggio tra ciò che resta di vasche, canali e mulini, passando per gli edifici moderni e le opere che hanno tolto spazio all'ambiente. E ci sono diversi progetti che potrebbero ridurre ulteriormente il poco verde ed il suolo libero rimasto.

di Mario Torrente

E pensare che fino a cinquant’anni fa mezza città non esisteva. Dove oggi ci sono edifici, palazzi, strade e cemento un tempo c’erano saline, paludi, canali, il lago Cepeo, terreni coltivati ed una spiaggia con un sistema di dune che arrivava fino alle pendici della montagna. Di quel paesaggio non è rimasto quasi più nulla, se non la montagna che continua a restare al suo posto (almeno quella, ma anche Monte Erice ha rischiato grosso) e un po’ (davvero poco) di quello che fino a pochi decenni fa era il mosaico di colori e acqua delle saline, riempito da una miriade di mulini. Un tempo a Trapani si contavano oltre 200 torri del vento. E tutto a torno era un continuo brusio di vita e produzione. Di tradizioni e mestieri che si reggevano nel giusto equilibrio con la natura.

Un mondo che ad un certo punto rischiò davvero di essere cancellato del tutto con il cemento che in pochi anni si prese più della metà di quell’antico sistema fatto di acqua, sole, vento e di antichi saperi. Solo 800 ettari di saline trapanesi sono infatti riuscite ad arrivare ai giorni nostri quando inizialmente vasche e canali si estendevano per oltre 2 mila ettari, una superfice che un tempo riempiva il paesaggio trapanese rappresentando la prima e più importante industria (per di più ecologica) del territorio.

Quindi solo circa un terzo delle Saline trapanesi riuscì a salvarsi dall’interramento per fare spazio all’espansione urbanistica della città. E per ciò che è riuscito ad arrivare al 21 esimo secolo bisogna ringraziare la Riserva e quei salinai che, nonostante tutto, continuarono (e continuano) la loro attività, facendo vivere questo meraviglioso regno di biodiversità e tradizione. Per il resto, dove un tempo c’erano acqua e sale adesso c’è mezza città (il confine sud di Trapani era la linea ferrata, dopodichè iniziavano le saline), con i suoi palazzi (tutto l’agglomerato della via Virgilio), le strade, edifici vari e la zona industriale, ricavata proprio dall’interramento di vasche e canali.

In quest’area, tra le altre cose, negli anni Settanta si parlava anche della costruzione di un petrolchimico nell’ambito del progetto che avrebbe dovuto portare alla realizzazione di una raffineria, con annesso porto con banchine per l’attracco delle petroliere, nel golfo di Macari. Ve lo immaginate un petrolchimico a Trapani davanti alle saline? Se non proprio al loro posto? Altro che paesaggi pieni di bellezza e colori e trasmissioni a livello nazionale che documentano questa meravigliosa oasi tutelata oggi a livello internazionale. Oggi, perchè fino a poco tempo fa qui ci andavano anche a scaricare la spazzatura ma che a sparare a qualunque uccello. In questa storia ci sono anche le tristi pagine del bracconaggio che hanno messo seriamente a rischio l’avifauna di queste zone.

Abbiamo dunque rischiato concretamente di avere ciminiere inquinanti e chissà cos’altro. In compenso, però, nelle aree un tempo occupate dalle saline ci hanno fatto di tutto. E dove sono rimaste le saline scampate all’interramento, davanti ad alcune vasche ci hanno messo un depuratore ed un dissalatore. Impianti che, rileggendo la storia a ritroso partendo dal 2024 e dalle lettura (e conseguenze) degli scempi ambientali degli ultimi decenni, probabilmente sarebbe stato meglio realizzare altrove. Ed invece ancora oggi se ne stanno lì, a pochi metri dall’oasi naturalistica della Riserva delle Saline. Per di più con le tubature della condotta fognaria che passano sotto la via del sale e che una volta si e l’altra pure si rompono con tutto ciò che ne deriva. Ma dalla sottile linea di confine che separa l’area protetta da tutto il resto passano tante altre vicende.

Ed è bene ricordare anche, provando a ricostruire ciò che è successo negli ultimi tempi nel territorio trapanese, che le due condotte a mare di depuratore e dissalatore inizialmente erano previste una accanto all’altra. Così ci sarebbe stata una condotta che scaricava a mare le acque del depuratore ed a poca distanza una seconda tubatura che invece avrebbe dovuto alimentare il dissalatore per assicurare l’erogazione idrica a Trapani e dintorni. Ed il punto di mare da dove prendere l’acqua da pompare all’impianto di dissalazione sarebbe stato di fatto vicino allo scarico del depuratore, davanti le saline e passando sotto le saline. Ma l’istituzione della Riserva portò a fare altre scelte con la condotta del dissalatore realizzata davanti alle saline (ancora oggi esiste la stazione di pompaggio in un vecchio mulino accanto al fiume Lenzi Baiata) mentre quella del depuratore venne spostata verso Salinagrande.

Così ancora oggi, passando dalla via del sale si notano i due impianti che “riempiono” il paesaggio delle saline senza però, nel caso del dissalatore, servire più a niente visto che la struttura, costata a suo tempo un bel po’ di soldi pubblici, non è più in funzione dal 2014: è spenta da dieci anni ed in questi oltre tre mila giorni di inattività l’impianto, di proprietà della Regione, è stato vandalizzato, depredato e danneggiato. Tutto ciò mentre i problemi di siccità che stanno riguardando tutta la Sicilia, con gli invasi sempre più asciutti a causa delle poche piogge, cominciando a farsi seri e potrebbero fare scattare l’esigenza di dissalare l’acqua del mare per assicurare l’erogazione idrica.


Solo che il dissalatore di Trapani sarebbe da ricostruire perche, oltre ai danni che si sono accumulati in questi anni di non utilizzo, c’è da dire che si tratta di un impianto vecchio con una tecnologia obsoleta, ormai superata. E per di più con costi di gestione molto elevati ed una qualità dell’acqua, alla luce dei progressi fatti in materia, che lascia molto a desiderare. Insomma, in un modo o nell’altro sarebbe da smontare: o perchè non serve più e quindi non ha senso lasciare la struttura, con i suoi grossi moduli e tubi, in perfetto stile “cattedrale nel deserto”. O perchè serve un nuovo dissalatore, moderno e funzionale alle esigenze del 21 esimo secolo. In questo caso, possibilmente ricostruendolo altrove e liberando così un’area antistante la Riserva che potrebbe essere destinata ad altro.

Ma la questione del dissalatore, nonostante lo spettro della siccità sempre più all’orizzonte e la situazione degli invasi, al momento sembra non essere nell’agenda politica locale. Così come altre situazioni che riguardano questa macro area dove, tra l’altro, rientra il progetto della Zes. E non c’è solo il dissalatore tra le questioni da affrontare. Ad esempio in via Libica, davanti l’autoparco, c’è una vecchia struttura militare abbandonata da decenni che sta letteralmente cadendo a pezzi. È pure crollato una parte del muro esterno lungo la trafficatissima via Libica e tutta la struttura, che si può “ammirare” dall’alto percorrendo lo scorrimento veloce, versa davvero in condizioni di abbandono. E molte parti di quella che a quanto pare era una polveriera-deposito munizioni della Marina, appaiono a rischio cedimento. È davvero malconcia e sicuramente non dà una bella immagine di quella che dovrebbe diventare una Zona economica speciale. Ma nell’elenco non c’è solo questa vecchia struttura militare abbandonata da oltre mezzo secolo.


Poco più avanti, in via Culcasi, nei pressi del pilone-serbatoio mai ultimato ed oggi un mega murales, dovrebbe “atterrare” il viadotto che, sempre nell’ambito della Zes, partirà da davanti il boschetto della via Salemi, pressappoco dalla zona dove da settimane si vedono le cicogne che stanno svernando a Trapani e che a questo punto non è escluso che possano nidificare in città. E le strade della Zes, dopo il viadotto e l’allargamento della via Libica spostando la pista ciclabile, passeranno anche accanto ad un vecchio deposito della Marina (anche questo in disuso da molti anni) e sopra un ex canale di salina a pochi metri da ciò che resta di una vasca della ex Salina Collegio, unica area ancora non cementificata assieme alla ex salina Modica di questa zona.


Tra l’altro questa area, dove si vedono sempre più fenicotteri nei laghetti che altro non sono che alcune delle vecchie vasche della salina, in uno studio commissionato dall’amministrazione comunale di Trapani e presentato nei mesi scorsi a Palazzo D’Alì è stata individuata come strategica per evitare allagamenti in città. Tant’è che è stata avanzata l’idea di fare delle vasche di laminazione, circondate dal verde di un parco urbano, ipotesi prospettata dall’amministrazione ma ancora tutta da definire per concretizzarsi visto che si tratta di aree private, che nel Prg, lo strumento urbanistico vigente in attesa che venga definito il Pug, sono previste come edificabili. Tant’è che da anni in una parte di quella che era la salina Modica è in corso l’iter per piano di lottizzazione, perfettamente conforme alle previsioni dello strumento urbanistico vigente.

Quindi presto in questa zona potrebbe aprirsi un cantiere per la costruzione di nuovi edifici assieme a quello della nuova strada che collegherà la via Libica alla via professore Giuseppe Salvo, quella da dove si vedono i fenicotteri che vanno a caccia dei loro prelibati gamberetti nei laghetti che altro non sono che alcune delle vecchie vache della salina che non c’è più ma che fu una delle più importanti e grandi della “Trapani città del sale”. Le vasche, è stato ribadito più volte, non saranno “toccate” dal progetto della Zes. Qui l’amministrazione comunale, vincolando l’area, nel nuovo Pug punterebbe a realizzare un grande parco, progetto che, come ovvio, passerà da una interlocuzione con i privati per definire le modalità per realizzare questa zona verde tra la via Via Virgilio e la dorsale Zir con vasca di laminazione funzionale al deflusso delle acque. Perchè la questione ruota anche e soprattutto sul rischio di allagamenti quando arrivano le abbondanti piogge in città. E un terreno permeabile e invasi per raccogliere le acque possono fare la differenza. Possibilmente con qualche canale, come era un tempo.


Ma questi sono tutti aspetti che riguardano la sfera politica ed il governo del territorio tenendo sempre presente l’interesse pubblico e la salvaguardia del patrimonio naturalistico. Dal più piccolo insetto fino alle bellissime cicogne che da qualche settimana sembrano proprio avere preso casa a Trapani, dalle parti dello scorrimento veloce e vicino all’incrocio della via Salemi, zona da dove dovrebbe partire il viadotto, lungo 112 metri, che da davanti l’area verde (pulita e sistemata di recente) limitrofa alla via Marsala porterà dritti dritti in via Libica.

Il sovrappasso si staccherà dal suolo proprio davanti il boschetto, limitrofo ai condomini della via Rostagno, Di Girolamo e Tosto De Caso, per atterrare sulla via Culcasi, vicino al piloni del serbatoio mai ultimato ed oggi diventato un murales. Tra l’altro, va ricordato, anche in questo “boschetto” l’amministrazione comunale ha prospettato l’ipotesi di fare un piccolo parco urbano. Intanto, però, qui è previsto il ponte per la Zes, che come ovvio si prenderà altro verde. Come altri spazi di natura finora scampati alla cementificazione potrebbero sparire presto per fare la nuova strada, sempre nell’ambito delle opere previste per la Zes, tra la via Libica e la via professore Giuseppe Salvo, quella che passerà accanto alla ex salina Collegio (quella dove si vedono sempre i fenicotteri) e che che sarà realizzata sopra un ex canale di salina. Dove al posto del canneto presto potrebbe quindi esserci asfalto.

Questa nuova arteria, per quella che potrebbe essere l’organizzazione viaria nella Zes, dovrebbe vedere un aumento dei mezzi in circolazione mentre al momento, trattandosi di una via secondaria collegata alla dorsale Zir, non è particolarmente trafficata. Tant’è che i fenicotteri “pascolano” quasi vicino alla carreggiata. E non ci sono solo loro. C’è natura ed una biodiversità che andrebbe tutelata e difesa, esattamente come quella poco vicino che ricade nella rete Natura 2000.

Ma ci sono anche altri aspetti da valutare, a partire da quelli storici. Tra l’altro si vedono ancora i resti di un mulino, uno dei tanti che sono andati giù e che purtroppo oggi non esistono più, ridotti ormai a ruderi. Manufatti e aree che potrebbero rappresentare un patrimonio di archeologia industriale da tutelare e valorizzare, assieme ad altre aree. Forse anche la ex struttura militare della via Libica, se recuperata, potrebbe diventare un valore aggiunto per questa macro area venuta fuori in maniera disordinata, costruendo ed edificando senza una logica non tenendo conto del contesto. E dei singoli contesti.


Ne è venuto fuori un puzzle con i pezzi messi qua e là in maniera disordinata senza alcuna logica ed equilibrio, con i risultati che sono davanti gli occhi di tutti. Come ovvio in questo “disegno” ci sono case, servizi, parti del sistema produttivo, economia. C’è la città, con le sue criticità e le incongruenze di scelte che oggi appaiono a dir poco discutibili. Decisamente sbagliate sotto vari aspetti, a partire da ciò che riguarda allagamenti, raccolta e deflusso delle acque. Tra i nodi da scogliere ci sono gli aspetti idrogeologici che oggi impongono la necessità di avere più suolo permeabile, ma anche natura funzionale alle emergenze climatiche ed ambientali del 21esimo secolo, dove la parola d’ordine è sostenibilità e non più cementificazione. Qui c’è da difendere ogni centimetro quadrato di verde. A maggiori ragione leggendo gli ultimi 70 anni di storia cittadina che hanno letteralmente stravolto e cambiato il paesaggio. Facendo saltare equilibri antichi millenni. A partire da quelli che regolavano la discesa delle acque dalla vicina montagna di Erice.

E sono proprio gli aspetti idrogeologici e di salvaguardia ambientale di quel poco di natura che è rimasto attorno e dentro la città di Trapani che dovrebbero portare ad una seria riflessione, davvero a 360 gradi, sull’utilizzo che è stato fatto in questi anni del territorio, nell’ottica di preservare le poche zone libere rimaste, evitando per quando possibile di mettere altro cemento. Sarebbe il caso, piuttosto, di invertire la tendenza, puntando con decisone sul verde e sulla permeabilità del suolo. Piantando tanti alberi e mettendo in campo strategie per mettere in sicurezza la città, per quanto possibile, dal rischio allagamento.

Ed in quest’ottica, magari, si potrebbe iniziare a ragionare su come ottimizzare le strutture che già ci sono, a maggior ragione se inutilizzate o abbandonate, valutando anche la possibilità di liberare le aree cemetificate e dove dove sono state realizzate opere ed impianti, a partire dal dissalatore che da dieci anni non è più in funzione, non immettendo più nemmeno una sola goccia di acque nelle condotte. E la questione della dimissione del dissalatore riguarda anche altre strutture, come la stazione di pompaggio che si trova nel bel mezzo della Riserva delle Saline, nei pressi del torrente Lenzi Baiata, all’interno di un ex mulino ma dove ancora si vede la torre, tra l’altro perfettamente conservata e rivestita da piastrelle verdi. Questo complesso potrebbe diventare strategico per la fruizione, anche in chiave turistica, dell’area protetta regionale gestita dal Wwf. Tra l’altro, si potrebbe anche studiare un collegamento con la pista ciclabile e Nubia per provare a chiudere un itinerario ad “anello” . Ci verrebbe un bel percorso, unico nel suo genere ed immerso in questa meravigliosa oasi di biodiversità.

In questo contesto la ex stazione di pompaggio del dissalatore potrebbe diventare un polo culturale dedicato al mondo delle saline. Anche con un taglio legato agli aspetti che rimandano all’archeologia industriale. Ma si potrebbe anche iniziare a ipotizzare su una maggiore valorizzazione della via del Sale, magari realizzando una grande isola pedonale e spostando la strada leggermente più a Nord facendola passare dalla zona industriale e liberando così un’asse viario che di fatto attraversa la Riserva. Così facendo si riuscirebbe ad agganciare il Mulino Maria Stella e la sua Salina al resto dell’area protetta.

Insomma, sono davvero tante le questioni che meriterebbero di entrare nell’agenda politica locale e regionale e che dovrebbero essere al centro del confronto tra gli attorni chiamati a decidere le sorti del territorio. Possibilmente non reiterando gli errori fatti nel passato. Che pochi non sono stati. Perchè alla fine resta un concetto base: dove prima c’erano saline, canali, spiagge, laghi, campagna e orti adesso c’è una città. Con i suoi palazzi, strade e cemento. Non più solo erba, come recitava una famosa canzone, ma un intero mondo fatto di più ecosistemi, salmastri e terrestri, mestieri e saperi, bellezza ed equilibrio, che oggi non esiste più.

E quel poco che resiste (davvero poco, quasi fazzoletti di acqua a verde), anche se per un solo centimetro quadrato merita di essere difeso con i denti, senza se e senza ma. Non è più il tempo dei compromessi ma di scelte nette e coraggiose che sappiano davvero guardare al futuro della città ed alle generazioni che verranno. Non solo a parole ma con azioni concrete. Meglio se in chiave sostenibile e salvaguardo l’ambiente. Magari aiutandolo, per quanto e dove possibile, a riprendersi i suoi spazi.

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