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Per la prima volta l’arte contemporanea entra nel parco archeologico di Segesta

Dialogo con la natura, che può diventare potente, imponente, affascinante, maligna. E in un parco archeologico come quello di Segesta – la città elima fondata dai troiani in fuga che approdarono in Sicilia prima di raggiungere Roma – sembra quasi necessario il rapporto con un ambiente ancora vergine, dove il tempio e il teatro, paiono quasi chiedere permesso. E proprio alle connessioni tra scienza, arte e paesaggio, con i suoi ritmi e i suoi numeri, tende la mostra Nella natura come nella mente che dal 14 aprile (inaugurazione mercoledì 13 alle 17.30) al 6 novembre vivrà alcuni spazi tra i più iconici del parco archeologico di Segesta.

Organizzata per il Parco Archeologico di Segesta – Dipartimento dei beni e dell’identità siciliana – Assessorato dei beni culturali e dell’identità siciliana da MondoMostre, in collaborazione con la Fondazione Merz,  curata da Beatrice Merz e Agata Polizzi, è un percorso a tappe, la ricerca di una narrazione comune tra artisti di linguaggio diverso, Mario Merz, Ignazio Mortellaro e Costas Varotsos. Il numero e la forma, il codice e la sostanza che esprime, si inseriscono in uno spazio vivo: numeri e scritture in neon blu e rosso – la sequenza di Fibonacci – si stendono sulle colonne dell’antico tempio; sculture di spirali trasparenti ed iridescenti, fatte – si penserebbe – per essere scolpite dalla luce; fusioni antiche di artisti contemporanei punteggiano lo spazio con la potenza dei riti arcaici che risuonano sulle colline. Il ritmo, il numero può ritrovarsi ovunque in natura: la crescita di un vegetale che cerca di guadagnare la luce, ovvero il suo orientarsi perfetto; le spirali che dimostrano la volontà naturale di accrescere e occupare nel miglior modo lo spazio e, in questo caso, il palcoscenico. Estetica del necessario, oltre il tempo dell’uomo e del suo gesto. Ed è altrettanto ovvio e quasi banale rammentare quanto i pitagorici dalla Grecia alla Magna Grecia e dunque anche alla Sicilia riconoscessero nel numero la base e l’origine di qualsiasi elemento dell’ambiente, attribuendogli perfino natura divina.

“I parchi archeologici divengono punti di riferimento per il territorio e luoghi d’incontro di diverse espressioni artistiche e culturali – interviene Alberto Samonà, assessore regionale ai Beni culturali e all’Identità siciliana – Negli stessi mesi in cui la Regione promuove la ripresa di innumerevoli missioni archeologiche, si cercano nuovi codici di lettura come in questo caso: grandi artisti entrano in dialogo diretto con spazi dove la natura e la storia sono parte di un’unica offerta culturale. E riescono a darne una lettura immediata e di grande fascino”.

“Sono lieta di ospitare a Segesta la mostra di opere d’arte contemporanea, un’esposizione en plein air che offrirà ai visitatori nuove suggestioni per il dialogo tra patrimonio archeologico e creatività contemporanea” dice la direttrice del Parco archeologico di Segesta, Rossella Giglio.

Gli interventi degli artisti occuperanno l’intera area archeologica, dal tempio maestoso all’agorà, luogo di dialogo e incontro; il confronto con lo spazio è già vinto in partenza, nulla resterà, nessun segno del passaggio delle opere, contemporanee, reversibili, rispettose.  “Mario MerzIgnazio Mortellaro e Costas Varotsosleggono il potere generativo del numero e dell’immaginazione, affrontano il tempo dilatato e la forma espansa, affrontano con elegante rispetto, l’armonica compostezza degli antichi manufatti, ma non si lasciano intimorire” spiegano Beatrice Merz e Agata Polizzi.

Nell’Agorà, la spirale in neon blu cobalto di Mario Merz [Un segno nel Foro di Cesare, 2003], è la rappresentazione grafica della ricerca di Fibonacci, il matematico medievale che aveva individuato nella serie numerica, il processo di crescita della vita. L’andamento curvilineo degli elementi che compongono l’opera, instaura una relazione dinamica con lo spazio, conferendo armonia nuova tra il materiale con la quale è realizzata e le antiche pietre di incontro dell’Agorà. E proprio la sequenza rosso lava correrà sulle colonne del tempio, una sorta di guizzo al neon, velocissimo, a capitoli crescenti, proiettata verso il futuro [Fibonacci Sequence, 2002]. La successione numerica del matematico pisano (tra i temi ricorrenti della poetica di Merz) identifica l’armonia insita nella proliferazione di forme naturali che si ripetono incessantemente, origine di un universo del quale intuiamo solo in minima parte la struttura logica.

L’opera site specific di Ignazio Mortellaro [Primo punto dell’ariete] sorgerà nella zona dell’Antiquarium e da lì guarderà alla valle: dalla sua torre autoportante in acciaio Corten, si irradierà un suono arcaico, che diventerà ferino, forte, fisico e profondo, nato da un corno d’ariete fuso in ottone (sistemato alla sommità della torre), che richiami un strumento rituale di risveglio e rinascita, parli alla comunità e alla natura, valicando la valle, infrangendosi sulle montagne o perdendosi nel mare e che peraltro rammenta lo shofar ebraico, oggetto rituale delle comunità da sempre presenti nell’isola. 

A destra del tempio, l’opera dello scultore ateniese Costas Varotsos [Spirale 1991-98], ricciolo barocco che proprio nella purezza e dialogo dei materiali (l’armatura di ferro e l’anima di vetro) e nella sua trasparenza, trova una forza energetica di grande impatto, sintesi di una riflessione sulla condizione umana e del suo rapporto ancestrale con l’Universo. La ricerca di Varotsos propone equilibrio tra arte e contesto, cercando la giusta proporzione tra azione umana e potere della natura, stabilendo un vortice di relazioni con la realtà circostante, spazio ideale, senza limiti e frontiere.

DETTAGLIO OPERE

 Mario Merz | Un segno nel Foro di Cesare, 2003

neon. 1400 x 1800 cm

Una spirale di luce traccia del tempo. Un segno sulla terra arcaica e sul mito che accoglie l’opera nel suo grembo e ne rimbalza l’energia visiva nel paesaggio circostante. All’interno della ricerca di Merz, la spirale compare negli anni Settanta come simbolo del principio di crescita organica nel mondo naturale, la ricorrenza di determinate forme riconducibili tutte alla spirale, come il triangolo, il cono, il vortice, visualizzate artisticamente, desunte o intraviste in una serie infinita di elementi  organici, come chiocciole, rami, foglie, pigne, corna, è legata alla stessa serie di Fibonacci, trascrizione numerica di una figura che, partendo dal punto zero, si espande all’infinito con un andamento, per l’appunto, spiralico.  L’andamento curvilineo degli elementi che compongono l’opera, instaura una relazione dinamica con lo spazio, conferendo armonia nuova tra il materiale con la quale è realizzata e le antiche pietre di incontro nell’Agorà.

Mario Merz | Fibonacci Sequence, 2002

neon. misure variabili

L’opera è generata a partire dalla progressione dove ogni numero è il risultato della somma dei precedenti, individuata nel 1202 dal matematico pisano Leonardo FibonacciL’artista la interpreta come emblema della dinamica relativa ai processi di crescita del mondo organico e colloca nei propri lavori le cifre realizzate in neon.La sua ricerca guarda alla relazione tra matematica e mondo naturale attraverso una riflessione sull’ordine, sulla progettazione, tracce di uno studio empirico della geometria e della matematica. La successione numerica del matematico pisano è uno dei soggetti ricorrenti della poetica di Mario Merz, che con essa identifica l’armonia insita nella proliferazione di forme naturali che si ripetono incessantemente, origine di un universo del quale intuiamo solo in minima parte la struttura logica. Se nella sua rappresentazione la serie sviluppa una spirale perfetta e produce una sorta di moltiplicazione organica, nella sua forma numerica traccia una linea di infinito che travalica il tempo, qui reso ancor più denso dal dialogo con la maestosa architettura della colonna dorica, rafforzata dal rimando con la storica opera Un segno nel Foro di Cesare, posta presso l’Agorà del Parco Archeologico.

Ignazio Mortellaro | Primo punto dell’ariete, 2022

acciaio Corten, ottone

registrazione Sonora, traccia di Gianni Gebbia

È un suono arcaico, sacro e primordiale alla base dell’ispirazione di Mortellaro per l’opera appositamente concepita per il Parco Archeologico di Segesta.

La vibrazione prodotta dal fiato umano che percorre la spirale di un corno d’animale, evoca strumenti rituali per richiamare le comunità al dialogo con la natura, permette al nostro respiro di riverberare in una valle, infrangendosi contro le montagne o perdendosi nel mare.  Il primo punto dell’ariete è una torrealla cui sommità è installato il corno d’Ariete, servita da un carro/scala, appositamente disegnata dall’artista come le antiche scale utilizzate nelle chiese o nelle biblioteche. Uno strumento di lavoro funzionale ma anche un’icona sacra che richiama il Carro Solare e la Scala, l’ascesa e la luce, la proiezione verso l’infinito.

Costas Varotsos | Spirale, 1991-98

ferro e vetro. 1000 x 180 cm

La spirale è un elemento che intreccia energia e natura, forma ripetuta e potenziata dal vetro che riflette e rifrange la luce.  L’opera di Varotsos nella purezza dei materiali e nella loro potenza, nell’articolazione di cerchi, cicli vitali che si susseguono, è sintesi di una riflessione sulla condizione umana e del suo rapporto ancestrale con l’Universo. La grande spirale con la sua armatura in ferro e l’anima in vetro apre un dialogo tra i materiali ed elementi naturali quali: la luce, trasparenza, energia, movimento, tempo, equilibrio. La ricerca di Varotsos propone equilibrio tra arte e contesto, cercando la giusta proporzione tra azione umana e potere della natura. L’artista, utilizzando la trasparenza del vetro per portare lo sguardo del visitatore oltre l’opera, stabilisce un vortice di relazioni con la realtà circostante, spazio ideale, senza limiti e frontiere.

GLI ARTISTI

Mario Merz [Milano, 1925-2003]

Nasce a Milano e si trasferisce ancora bambino a Torino. Durante la guerra, abbandona gli studi universitari di Medicina e partecipa alla lotta antifascista. La prima mostra personale risale al 1954 con opere pittoriche che negli anni successivi lasciano spazio a sperimentazioni utilizzando nuovi materiali, uno fra tutti il neon. Si definisce così un distacco dalla pittura tradizionale verso una svolta materica, che viene raggiunta pienamente a partire dal 1968 con l’adozione della forma dell’igloo e, fin dai primi anni Settanta, con l’introduzione della sequenza matematica dei numeri di Fibonacci. Nel corso degli anni Ottanta il suo repertorio pittorico si arricchisce di immagini di animali primitivi. Mario Merz viene ricordato come uno dei massimi esponenti dell’Arte Povera. Protagonista della scena artistica internazionale fin dagli esordi, Merz riceverà nel 2003, poco prima della sua scomparsa, il Praemium Imperiale dalla Japan Art Association. 

Ignazio Mortellaro [Palermo, 1978]

Vive e lavora in Sicilia. Lo studio della realtà, attraverso i suoi fenomeni e i suoi ritmi, è la base della ricerca artistica di Mortellaro. Grazie alla sua formazione come architetto e ingegnere, le sue opere combinano l’interesse per molte discipline quali la scienza, la filosofia, la musica e la letteratura. Il disegno ha un ruolo centrale nella fase di progetto dell’opera, come strumento privilegiato di sintesi e di ragionamento. La produzione dell’artista è eterogenea, egli utilizza infatti diversi media (scultura, disegno, fotografia, video e installazione) per analizzare il complesso rapporto tra uomo e natura. Una rielaborazione minimale e complessa che ridefinisce anche gli strumenti tecnici di misura inventati dall’uomo, quali mappe geografiche e astronomiche, figure geometriche e bussole. Forte  il suo interesse per la musica che lo ha portato a fondare nel 2008 il collettivo Oblivious Artefacts attivo tra Palermo, Roma e Berlino.

Costas Varotsos [Atene, 1955]

Vive e lavora in Grecia. Le opere di Varotsos sono una riflessione su temi essenziali della vita e dell’uomo, come l’energia, spazio, tempo e natura, in creazioni che combinano lirismo e monumentalità; l’essenzialità dei materiali corrisponde a forme geometriche ricorrenti, dal cerchio a forme a spirale o ‘lunari’. Il ferro, riempito da strisce di vetro, si rafforza trasformandosi in un incontro poetico tra cielo e mare, dove l’orizzonte è per l’artista “un limite che indica lo spazio”, i confini finiscono e non è più possibile vedere la differenza tra realtà e artificio. Varotsos attualmente ricopre la cattedra di Architettura all’Aristotele University of Thessaloniki. Nel 1987 ha rappresentato la Grecia alla Biennale di San Paolo e nel 1999 alla Biennale di Venezia; nel 1993 ha partecipato al Padiglione Italia della Biennale, e alla Biennale di Los Angeles nel 1999. Nel 2004 è stato creato Cavaliere dell’Ordine della Stella della Solidarietà Italiana. Nel 2012 realizza L’Approdo. Opera all’Umanità Migrante a Otranto. Recentemente ha partecipato a documenta14 a Kassel – Fridericianum. Ha firmato importanti opere pubbliche monumentali in Grecia, Cipro, Italia, Svizzera e negli Stati Uniti.

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