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Mafia, la richiesta dell’autista del boss Matteo Messina Denaro

di Luigi Todaro

Una richiesta singolare quella avanzata dall’autista di Matteo Messina Denaro. Giovanni Luppino, imprenditore agricolo di Campobello di Mazara, vuole che il processo a suo carico venga celebrato a porte aperte nonostante abbia scelto di essere giudicato con il rito abbreviato che prevede, invece, un processo a porte chiuse. L’imprenditore venne arrestato nel gennaio del 2023 assieme all’allora latitante. La Procura di Palermo ha chiesto per lui una condanna a 14 anni e 4 mesi di carcere. La prossima udienza, fissata per il 13 marzo, si svolgerà a porte aperte. Luppino venne arrestato con l’ accusa di favoreggiamento, ma la sua posizione si è aggravata nel corso delle indagini, quando sarebbe emerso che chiedeva il pizzo per conto del capomafia castelvetranese. Al Gup, Luppino aveva raccontato che a presentargli Messina Denaro come suo cugino, nel 2020, era stato un compaesano, Andrea Bonafede, il geometra che ha prestato l’identità al capomafia, che gli avrebbe chiesto di accompagnarlo a Palermo per delle cure. Un giorno, però , il passeggero, conosciuto col nome di Francesco Salsi, si sarebbe sentito male durante il tragitto e all’invito di Luppino di andare in ospedale avrebbe detto: “Portami a casa, sono Messina Denaro non posso andare in ospedale». Da allora «per ragioni umanitarie», come l’imputato ha dichiarato, sapendo che il boss era gravemente malato, Luppino avrebbe continuato ad accompagnarlo in ospedale. Il padrino gli avrebbe di volta in volta lasciato nella cassetta delle poste un biglietto con l’orario dell’appuntamento successivo. Dalle analisi delle celle telefoniche dell’autista, che aveva anche stretti rapporti con l’amante del padrino, Laura Bonafede, risulterebbe, che l’imprenditore avrebbe condotto il capomafia in clinica per ben 50 volte in due anni. Lo scorso 13 febbraio sono stati arrestati per favoreggiamento aggravato e procurata inosservanza della pena anche i figli di Luppino: Antonio e Vincenzo, anche loro, secondo la tesi accusatoria, al servizio del boss.

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