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Come l’arabo vive ancora nel dialetto siciliano

di Serena Giacalone

La Sicilia, nei libri di storia, è sempre definita, forse in maniera un po’ trita, ‘terra di grandi invasioni’. Ma è proprio così: tanti sono i popoli passativi, dai greci ai romani, dagli arabi ai bizantini ai normanni. Oggi partiamo alla scoperta dell’eredità araba, un patrimonio ancora vivo nella lingua siciliana e nella geografia dell’isola.

La presenza araba in Sicilia ha avuto un impatto significativo nella lingua dialettale siciliana, specialmente nella regione centro-occidentale dell’isola, a causa del fatto che la parte orientale era ancora fortemente influenzata dalla dominazione bizantina. Dal punto di vista linguistico, i toponimi arabi sono evidenti, come ad esempio quelli derivati da cala/calt che affonda le radici nel “qal’at” arabo, cioè castello. Nella zona occidentale, possiamo trovare toponimi come Calatafimi, Caltabellotta, Calamonaci, Calascibetta e Caltagirone. Da gebel che viene dall’arabo “jabal”, ovvero monte, derivano toponimi come Gibilmanna, Gibilrossa, Mongibello e Etna (mons + gebel). Alcuni esempi includono anche Favara e Terrasini Favarotta da “fawwara” (sorgente)e Borgetto da “burg” (torre). Che dire allora di Marsala e Marsamemi? Dietro c’è “marsā”, che significa ormeggio, approdo, un nome che si attaglia perfettamente a città portuali.

Infine, nella categoria dei toponimi, è interessante analizzare il termine Alcantara. No, non stiamo parlando del tessuto, ma di un fiume che nasce dai Monti Nebrodi e si getta nello Ionio, a metà strada tra Messina e Catania. Al-qanṭar, da cui proviene, significa ‘il ponte’. In Estremadura si trova una cittadina che si chiama proprio così, e a buon diritto: sorge sulle rive del fiume Tago e vi si trova il ponte eretto sotto l’imperatore Traiano, il più grande e il meglio conservato di tutti i ponti romani esistenti in Spagna.

Sui cognomi ci si potrebbero scrivere interi volumi. I cognomi siciliani, infatti, riflettono secoli di storia e dominazioni, inclusa quella musulmana (827-1072), che hanno lasciato un segno duraturo sull’isola. Ad esempio, il cognome Badalamenti, diffuso specialmente nel palermitano, sembra derivare da abd-al amin, ovvero ‘servo fedele’, anche se esiste una tesi, forse non peregrina, secondo cui questo cognome indicava le prefiche che ‘badavano ai lamenti’ durante i funerali. 

Zagarella, o Zagara, sono cognomi che fanno esplicito riferimento al fiore d’arancio, dalla parola araba zahr, che significa ‘splendore’ ma anche ‘fioritura’. Sciortino, cognome assai comune, deriva da surtī che significa ‘guardia’, ‘poliziotto’, mentre Morabito viene da murabit, ‘asceta’. Va menzionato anche Almirante, assai diffuso in tutto il meridione ed entrato in Italia attraverso il castigliano che lo ha mutuato dall’arabo al-amīr, ‘comandante’ ma anche ‘principe’. Infine, il cognome Macaluso deriva da un termine arabo che significa “schiavo affrancato”.

Oltre ai cognomi, la lingua siciliana mostra tracce arabe in vari campi semantici come quelli relativi alla botanica, alla culinaria, agli utensili e alle strutture agricole.

Ad esempio, giuggiulena, che significa ‘sesamo’ è una parola diretta discendente di giulgiulān, così come zibibbo, un’uva che dà un vino dolce e liquoroso, viene da zabīb. Meno sorprendente forse è cassata, che di certo deriva dal latino caseum, cioè ‘formaggio’, è passata anche attraverso l’arabo qashata.

 Facendo riferimento a Montalbano, in un vidiri e svidiri, non si può fare a meno di nominare due parole molto usate in tutti i romanzi e i racconti: taliari, cioè guardare, viene da tal’at, ovvero ‘altura’, un luogo strategico da cui si può osservare tutto attorno. Invece mischinu, ‘poverino’, un aggettivo segnatamente utilizzato per descrivere Dindò, spilungone col ciriveddru d’un picciriddro, vittima collaterale di un piano malvagio ne ‘La paura di Montalbano’, trae origine da miskīn, ‘povero’.

Infine, termini come Giarra ovvero “grande vaso per olio”, magasenu che significa “magazzino” e funnacu che intende il termine italiano “albergo” sono emersi durante il periodo successivo alla dominazione araba in Sicilia grazie agli scambi commerciali.

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