Rita Atria oggi avrebbe 46 anni. Il 26 luglio di 29 anni fa, appena diciassettenne si suicidò una settimana dopo la Strage di Via d’Amelio. Rita Atria la mafia l’aveva conosciuta fin da bambina, a 11 anni perse suo padre, pastore affiliato a Cosa Nostra, ucciso in un agguato mafioso. Dopo la sua morte, Rita si legò ancor più a suo fratello Nicola, anch’egli mafioso, ucciso nel 1991. Troppo dolore per una ragazza così giovane e così lontana interiormente da quella Sicilia di sangue alla quale non apparteneva e non voleva appartenere.

Rita insieme alla cognata, Piera Aiello, moglie di Nicola Atria, cercò in Paolo Borsellino la giustizia per quegli omicidi inaccettabili che la segnarono per sempre. Fu il magistrato palermitano a raccogliere tutte le sue rivelazioni, tutte le sue paure e la solitudine che aveva sempre sentito nella sua vita. Le rivelazioni di Rita consentirono alla Giustizia di arrestare numerosi mafiosi di Partanna, Sciacca e Marsala.

Con Borsellino nacque un legame fortissimo. Il 26 luglio 1992, dopo l’assassinio del giudice Giovanni Falcone e del giudice Paolo Borsellino, Rita perse ogni speranza e si suicidò gettandosi dal quinto piano del palazzo dove le stava dando protezione la polizia, a Roma.

“Quelle bombe in un secondo spazzarono via il mio sogno, perché uccisero coloro che, col loro esempio di coraggio, rappresentavano la speranza di un mondo nuovo, pulito, onesto. Ora tutto è finito”. Così scrisse Rita nel suo diario.

La storia di Rita spinge a interrogarci sul ruolo delle donne nell’universo mafioso e di come per le donne il percorso di emancipazione dalla società mafiosa sia certamente più difficile rispetto a quello degli uomini. Della vicenda di Rita Atria va ricordato anche il disconoscimento da parte della madre, giunto fino al punto di sfregiare la tomba della figlia nel cimitero di Partanna.