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mercoledì, Maggio 8, 2024
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Le tre domande della domenica a…

Nicolò Renda, psichiatra trapanese, è un professionista noto a Trapani. Meno conosciuta è la sua attività nell’ambito delle scienze forense. In questa veste, quella dell’ambito criminologico, è stato intervistato dalla redazione di scenacriminis.com.


Dott. Renda quando ha cominciato a interessarsi alle scienze forensi?


Come ho già raccontato ai vostri colleghi di scenacrimins.com ho iniziato ad interessarmi di aspetti criminologici nel 2005 quand in un convegno incontrai il prof. Francesco Bruno. Ci intendemmo subito e poi arrivò anche una proficua collaborazione. Sono sempre stato attratto dagli studi e dalle analisi sulla fasi neuro-fisiopatologiche dell’aggressione e dell’aggressività, della violenza e degli omicidi in generale, cercando di comprendere le basi genetiche che conducono alla violenza e quindi all’evento omicidiario. Nel corso del mio lavoro ho vissuto direttamente il caso di dell’omicidio a Perugia di Meredith kertcher i cui maggiori sospettati furono Rudy Guede, Raffaele Sollecito e Amanda Knox. Ancora ad oggi mantengo contatti con Sollecito che scontò 4 anni di carcere prima della assoluzione definitiva.


Dalla sua intervista emerge che ci sarebbero ragioni genetiche nell’esercizio e nella generazione della violenza.


Non è che lo affermo io. Ci sono studi internazionali in questa direzione. Attenzione, siamo lontani dalle teorie lombrosiane. Qui non si tratta di pregiudizi ma di analisi di pezzi del patrimonio genetico. Già negli anni ‘60, molti studiosi ponevano l’attenzione sulla “teoria dell’eccesso dei cromosomi maschili”: la condizione “XYY” associata a comportamenti violenti e antisociali. Molto risalto ebbe la scoperta dei cosiddetti geni-killer. Fu Brunner in uno studio pubblicato nel 1993 ad ipotizzare per primo una mutazione del gene MAO-A, in grado di interferire con le funzioni di altri neuro-trasmettitori, determinando l’insorgenza di comportamenti a rischio. Si tratta di geni e tratti genetici comuni a persone affette da squilibri neurologici. Chi possiede questi geni, è stato osservato, è più incline a comportamenti violenti. L’assunto centrale è, però che chiunque in condizioni di stress psicologico, di alterazione emotiva e mentale, può rompere gli argini dell’autocontrollo, ignorare i freni inibitori di tipo sociale, etico, religioso o perfino essere animato e indotto alla violenza da condizionamenti ambientali, familiari, psicologici. L’azione criminale, l’impulso ad uccidere, appartiene all’uomo in ogni epoca, in ogni luogo, sotto tutti i regimi politici, in qualsiasi sistema sociale, in qualsiasi ambiente, classe o censo.


Quindi non si escludono i condizionamenti sociali nella generazione della violenza omicida?


Certo che no. L’aspetto genetico è uno degli approcci multidisciplinare nell’analisi dei fattori di rischio. Ma i primi che mi vengono in mente sono quelli economico – sociali: la povertà, economica e culturale; la disgregazione sociale nella comunità d’appartenenza; la disponibilità di droga, alcol, armi; il coinvolgimento in comportamenti devianti da parte degli adulti, genitori, parenti, amici. Vivere in ambienti violenti, alimenta la violenza; il pregiudizio può essere fattore scatenante di violenza. Si pensi in quest’ultimo caso alle periferie urbane delle grandi metropoli, o anche delle piccole città dove ci sono quartieri in cui il fallimento urbanistico e di programmazione ha creato veri e propri ghetti. Individuati così dal resto della comunità e avvertiti come ghetti da chi ci vive. Infine, da ultimo, i fattori individuali, e qui entriamo nel campo della sofferenza psichica: difficoltà alla interiorizzazione; iperattività, deficit di concentrazione, irrequietezza, impulsività incontrollata, condotte a rischio. Studi recenti hanno indicato che genetica e ambiente si influenzano con una certa reciprocità determinando comportamenti aggressivi in situazioni di frustrazione e che la funzione del sistema limbico, per quanto concerne la manifestazione di questi comportamenti risulta essere sostanziale.

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