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I canali di scolo di Monte Erice, il Corpo Forestale: “Sono in stato di abbandono”

di Mario Torrente

In che condizioni versano i canali di scolo delle acque bianche nella montagna di Erice? Basta fare un giro dal versante di Martogna fino a Pizzolungo, passando da Piano Guastella e San Cusumano, per notare la presenza di vegetazione e rifiuti all’interno del sistema a suo tempo realizzato per raccogliere e scaricare in mare le acque piovane. La conferma arriva dalla relazione predisposta dal Distaccamento di Erice del Corpo Forestale dopo una serie di sopralluoghi fatti tra il 20 ed il 21 settembre scorso. Gli agenti hanno documentato la situazione del canale che passa da Pizzolungo, e nelle zone di Piano Guastella, Vecchia Martogna, via San Cusumano, Pizzolungo, Castellaccio e Martogna. E quanto hanno messo nero su bianco, allegando anche molte foto, lascia pochi dubbi: “Verificate le zone appartenenti al territorio di Erice – si legge nel documento – appare palese che i canali di scolo delle acque bianche risultano essere in totale stato di abbandono con crescita di erbacee, alberi ed arbusti vari e con abbandono, in alcuni punti, di rifiuti di vario genere”.

In un tratto sono cresciuti anche i fichi d’india. E per vedere in che condizioni si trovano i canali basta semplicemente percorrere la strada per Erice o la provinciale per Pizzolungo. A Martogna, proprio tra i due cancelli dell’area demaniale, già si vede in che condizioni è il canale che poi passa sotto la strada provinciale. Da qui dovrebbe essere convogliata l’acqua raccolta nell’area demaniale, per metà devastata dall’incendio dello scorso 5 maggio. Dovrebbe. Ma così non è. Vediamo di capire perchè.

Negli anni Ottanta la Forestale, allora chiamata Azienda Foreste di Trapani, realizzò in collaborazione con il Comune di Erice, nelle strade sterrate di propria competenza, un sistema di canalizzazione delle acque lungo il versante Ovest di Monte Erice che dall’ex hotel Jolly, quindi praticamente al Belvedere San Nicola e quindi alle porte del centro abitato del borgo medievale, raccoglieva le piogge attraverso delle canalette e brevi condotte per arrivare, costeggiando la strada di Sant’Anna, fino al laghetto artificiale di Martogna. Che poi altro non è che un bacino idrico antincendio collegato ad un sistema di manichette e tubi, chiamate “aste”, a suo tempo predisposto per spegnere i roghi e assicurare il rifornimento d’acqua dei mezzi. Elicotteri con benna compresi. Il tutto sfruttando semplicemente la pendenza della montagna.

Contestualmente a Martogna andava prendendo forma il bosco, piantato dopo l’alluvione del 1976 con l’obiettivo, oltre quello della riforestazione e della creazione di un’area verde, di limitare il rischio di frane e smottamenti visto che gli alberi, oltre a dare aria buona, con le loro radici trattengono il terreno. Ma non solo. Un bosco rallenta il flusso dell’acqua piovana e la vegetazione riesce a svolgere funzioni di drenaggio. Per non dire che le chiome “assorbono” l’energia del temporale, facendo arrivare l’acqua al suolo con meno violenza. Senza alberi, invece, la pioggia che impatta direttamente sul terreno ne aumenta l’erosione.

Insomma, quel sistema di canalizzazione, assieme al bosco, rappresentava in tutto e per tutto un’opera di ingegneria idraulica per salvaguardare la zona ed il sottostante centro abitato anche attraverso il grande canale, quello che passa sotto la strada che da Martogna arriva ad Erice. Qui confluivano invece le acque piovane raccolte nell’area demaniale, al di sotto del laghetto artificiale che si trova invece nella parte alta del bosco. Ed attraverso un sistema di raccolta, canalette e condotte, l’acqua veniva fatta uscire nello scarico del canale, praticamente tra i due cancelli di ingresso. Da qui proseguiva per il canale di gronda. Insomma, la Forestale aveva studiato un valido sistema di deflusso e raccolta delle acque piovane. Un’opera realizzata in un periodo dove, dopo le alluvioni (ed i morti) degli anni Sessanta e Settanta, si cercò di correre ai ripari costruendo le fognature in città ed il canale di gronda in montagna.

Ma nel 2022 le cose sono cambiate e l’acqua piovana non viene più convogliata come una volta nel sistema di raccolta messo a punto quaranta e passa anni fa: i canali in molti tratti sono ostruiti da detriti e vegetazione. In molti casi c’è anche spazzatura abbandonata. E così l’acqua si fa strada liberamente dove trova spazio, scendendo lungo la montagna in tanti rivoli, formando in alcuni tratti veri e propri torrenti: scavando profondi solchi e addirittura scoperchiando strade, come nel caso di Sant’Anna, dove i nubifragi dei giorni scorsi hanno anche fatto riaffiorare l’antico basolato.

Proprio in quest’asse, che si trova sopra il centro abitato di Trapani, l’acqua non viene più convogliata nel sistema di raccolta, che è ormai fuori uso, ostruito e saltato in più parti. Non finendo più nel grande lago artificiale, ma disperdendosi in tutta la montagna dove, non essendoci poi più vegetazione e alberi dopo gli incendi, l’ultimo appena 5 mesi fa, scava profondi solchi per arrivare, senza nulla che la possa rallentarla o trattenerla, nel centro urbano di Trapani. Qui il sistema fognario ha i suoi anni ed in diversi punti è malconcio ed ostruito, con veri e propri “tappi” ed una portata che risente di decenni di flussi di liquami. Ed ecco che l’acqua ristagna nei punti maggiormente depressi, quelli al di sotto del mare, non defluendo e creando allagamenti. Dove, all’acqua piovuta sulla città, si somma quella arrivata anche dalla montagna di Erice. Per di più con gli indicatori che, complici i cambiamenti climatici ed eventi meteo sempre più intensi, registrano grandi quantitativi di pioggia concentrati in poche tempo. A volte meno di un paio d’ore.

Una situazione che, tra strutture vecchie, impianti con diversi decenni di servizio e condotte ostruite e malconce, finisce col mandare la città in tilt per la grande quantità di acqua che non riesce a defluire, trasformando le strade in fiumi e laghi. E facendo danni su danni. Per di più col rischio che qualcuno si possa fare male. Eppure ci sarebbe il modo per fare arrivare meno acqua nel centro urbano, innanzitutto canalizzando e raccogliendo quella che scende, quasi a cascata, dalla montagna, facendola confluire nel bacino idrico di Martogna o nel canale di scolo. Ma per farlo bisognerebbe ripristinare il sistema a suo tempo messo a punto dalla Forestale. Per prima cosa si dovrebbero pulire e liberare i pozzetti, che sono talmente pieni che nemmeno si vedono, oltre che che le condotte ed i canali ostruiti. Servono poi le “tagliate” lungo le strade forestali, per catturare le acque in discesa.

Bisogna anche considerare la striscia che passa sotto i piloni della funivia, praticamente la “via” per i soccorritori in caso di necessità oppure utilizzata per manutenzioni ed interventi vari. Anche questo “taglio” finisce con essere utilizzato dall’acqua piovana per scendere verso le pendici del Monte, riversandosi in città senza che non ci sia nessuna opera in grado di deviarne il flusso verso canali e bacini idrici. Magari si potrebbe studiare un modo per fare confluire l’acqua che scende da sotto i piloni nel grande lago antincendio di Martogna, che andrebbe rimesso in sesto essendo anche fondamentale in caso di roghi. Chissà, se lo scorso 5 maggio il sistema di “aste”, tubi e manichette fosse stato funzionante, con l’invaso operativo e pieno d’acqua piovana, forse Martogna oggi sarebbe ancora tutta verde e tanti alberi ancora “in servizio” per trattenere con le loro radici il terreno in modo da evitare dissesti idrogeologici. Ed invece sono andati a fuoco, molti già ridotti a scheletri bruciati. Altri hanno già il destino segnato.

Tutto ciò mentre che si resta in attesa dei lavori di messa in sicurezza a suo tempo annunciati dalla Regione. Ma dopo le piogge delle scorse settimane e la situazione che si è venuta a creare nel sottostante centro urbano, forse sarebbe il caso di iniziare a valutare la pulizia e sistemazione del sistema di canalizzazione delle acque, che non arrivano più negli invasi di raccolta. Forse per fronteggiare l’emergenza allagamenti bisogna iniziare ad intervenire anche a “Monte”, utilizzando già sistemi a suo tempo studiati e realizzati. E che adesso sono semplicemente da ripristinare, pulendo i canali e sistemando canalette ed invasi vari. E visto che la questione è evidentemente a carattere sovracomunale, con il coinvolgimento di più enti, si potrebbe convocare un vertice in Prefettura per mettere attorno ad un tavolo tutte le parti in causa. E cercare di trovare soluzioni. Possibilmente cercando di far presto. Visto che intanto continua a piovere. E tra nubifragi, temporali e bombe d’acqua, la pioggia sta iniziando a fare paura. Quando invece, da sempre, era considerata una benedictio domini. E tale resta. I fardelli sono altri, legati ha ciò che l’uomo ha fatto, spesso devastando il territorio e alterandone gli equilibri.

Il problema è che, probabilmente, complice i cambiamenti climatici, piove in maniera diversa rispetto al passato. E la grande quantità di acqua che si riversa in poco tempo nel suolo fa emergere tutte le debolezze e le criticità di un territorio cementificato anche dove c’erano laghi, fiumi e paludi. Ecco perchè la manutenzione dei sistemi di raccolta delle acque rappresenta una vera e propria priorità, pulendo i canali, fiumi e torrenti. E realizzando tutte le opere necessarie per provare a contenere, per quanto possibile, il flusso delle acque.

Oggi più che mai c’è bisogno di sistemi in grado di fronteggiare le nuove emergenze, anche per quel che riguarda il dissesto idrogeologico. Anche piantando nuovi boschi. Negli anni Ottanta fecero esattamente questo a Martogna. Ed oggi che quegli alberi sono bruciati e la vegetazione ridotta in cenere, l’acqua non viene trattenuta e rallentata come prima. Le canalette ed i pozzetti sono poi ostruiti e nel terreno sono evidenti i solchi ed i rivoli. E dove finisce tutta quest’acqua che, abbondante, scende del Monte se i sistemi di raccolta non funzionano per come erano stati ideati?

Il servizio andando in onda nel Tg

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